Poltrone, sofà e comfort zone: la città del salotto è sempre stata spontaneamente laboriosa. Qui si tagliano e cuciono stoffe, fodere, pelli pregiate che ricoprono comodi divani da confezionare ad hoc e piazzare sui mercati internazionali, dove la mobilità delle persone che cambiano casa e poltrone segue il ritmo frenetico della globalizzazione, della vita che si rigenera in altri luoghi, metropoli, continenti, dove mutano lavori, famiglie, comunità. Mentre il mondo corre e i nostri divani raggiungono i salotti israeliani, americani, arabi, cinesi, scandinavi, noi, che facciamo? Non sarà che la sofficità del poliuretano espanso ingloba pure noi generando così tanto effetto da lasciarci accomodati e imprigionati nella nostra comfort zone avvolta nella gomma piuma? Da città della vergogna nazionale a Patrimonio mondiale dell’umanità a Capitale Europea della Cultura, il refrain a cui ci hanno fatto abituare ci incanta e rapisce, quasi a farci crogiolare in un brodo di giuggiole e ad autoconvincerci che l’autostima cittadina sia sempre intatta.
La città splende di luce propria e di successi ottenuti in un passato glorioso, grazie ai sogni e all’impegno di pochi che sono riusciti a coinvolgere tanti, al coraggio di alcuni, e ai rari cuori impavidi che hanno superato gli ostacoli di natura politica e di molta invidia sociale. È pure vero che non si può alzare continuamente l’asticella, perché prima o poi diventa insuperabile, ma l’assenza di ansietà, il livello di prestazioni costante, lo zero senso del rischio, l’accomodarsi sul morbidoso sofà di gomma piuma, procurano invece un encefalogramma tristemente piatto. «La vera scoperta inizia quando finisce la propria zona di comfort». Vale anche per una città che deve continuare a disegnare il proprio futuro. Talenti, abilità sconosciute, nuove esperienze possono esserci mandate dall’universo se chi lavora per costruire il futuro delle comunità getta il cuore oltre l’ostacolo e libera nuove potenzialità. Esercitarsi a fare cose che non sono comode dovrebbe essere una pratica salutare e benefica, come ad esempio chiederci cosa vogliamo costruire da qui al 2050, con quale prospettiva e con quale messaggio verso il mondo.
In un luogo che l’asticella l’ha comunque sempre alzata, dalla produzione di divani creati e distribuiti nel mondo con ingegno e creatività, all’insegna del comfort sano, all’insediamento di un Centro di Geodesia Spaziale per l’Osservazione della Terra, all’insegna dello sviluppo scientifico di un Paese, può costare caro non continuare ad alzare l’asticella e arrivare sulla rampa di uscita della propria comfort zone. Se si facesse, le ricompense potrebbero essere infinite, invece di restare comodi sulle poltrone dell’ovvietà. Ma, in fondo, come diceva Sepúlveda: «Vola solo chi osa farlo».