Ci sono le madri. E poi ci sono le figlie, quelle che in un attimo realizzano da che parte stare, diventando madri assolute - loro, così giovani - sia pur per una volta soltanto; prima di morire. In mezzo a tanto orrore, questa festa della mamma la dedichiamo a Jessica di Torremaggiore che, ancora adolescente, ha fatto ciò che ogni madre farebbe, salvare la figlia facendo scudo con il proprio corpo, mentre fendenti assassini, per mano di un uomo che aveva il solo compito di accudire e di proteggere, affondavano nella sua carne ancora bambina. La gelosia, «mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo di cui si nutre», come dice Shakespeare nell’Amleto, non attutisce la portata di un omicidio tristemente destinato agli annali della crudeltà assoluta.
Ma sembra ci sia qualcosa di più in questo raptus che chiama in causa barbarie dal sapore, allo stesso tempo, di tragedia greca - un mito al contrario di Medea: la sofferenza inflitta all’uomo che diceva di amare attraverso la carneficina dei propri figli - e di matrimoni infelici con ricaduta sui figli. La letteratura di tutti i tempi li ha evidenziati con mille sfaccettature, da quelli più sottili - incomunicabilità, ostilità implosa, sorrisi tirati e di circostanza (bisogna sempre pagare pegno al perbenismo, ché altrimenti la gente parla) - a quelle, come in questo caso, che esplodono nella violenza cieca. Non basta la fattispecie psichiatrica, non serve la retorica dei sentimenti tranquillizzanti, quelli che ci fanno dire «a noi non può succedere».
Certo, c’è un gesto dalla portata abnorme, ma ci sono anche mille sfumature di cui siamo tutti silenti testimoni: ed è il punto in cui l’amore non è disgiunto dall’odio e l’inconscio, grosso modo tenuto a bada, diventa all’improvviso più buio di una notte senza stelle.
Ma vorremmo che tutto questo non colpisse almeno il sentimento più incontrovertibile ed eterno, quello che ha a che fare con la maternità e la paternità. Parafrasando il filosofo Galimberti, non ci sarebbero tanti disperati nella vita se tutti, da bambini, fossero stati davvero amati e solo amati. Sembra facile e scontato, ma non lo è affatto. E Jessica, così piccola, lo sapeva. «Abstulit atra dies et funere mersit acerbo»; il giorno oscuro lo rapì e lo sommerse con morte acerba, scriveva Carducci per suo figlio Dante morto prematuro. Cara Jessica, potessimo noi scrivere qualcosa per te sulla tua epigrafe diremmo soltanto: «qui riposa una madre. Vera». Che il peso della terra ti sia lieve.