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Se gli «Orti» sono abitati e narrativi

 
Luisa Ruggio

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Luisa Ruggio

Se gli «Orti» sono abitati e narrativi

Toglietevi le scarpe, lasciate che siano i piedi ad ascoltare, come quando eravate bambini, involontariamente santi, scalzi

Domenica 23 Ottobre 2022, 10:20

Se un melograneto potesse parlare, quale storia racconterebbe? Di certo quella di Francesca Maruccia e di suo fratello che, come molti salentini, si sono ritrovati per le mani la terra dei nonni e, pur avendo portato a frutto vocazioni altre rispetto alla dedizione che l’agricoltura richiede, hanno deciso di trasfigurare questa eredità attraverso un progetto unico. Così, lo scorso agosto, hanno avviato Orti Abitati, in Contrada Bianco a Ugento. L’idea è semplice: tornare ad abitare le nostre campagne. Riportare tutto tra i filari, nei frutteti, in mezzo agli orti che sono semina e radici, antenati e maestri, vie dei nostri canti e romanzi diffusi, riammagliati da nuove orme di calcagni sulla terra. Ora chiudete gli occhi. E immaginate un giardino segreto: ecco il melograneto in questa domenica d’ottobre. A restituircene l’alfabeto rurale, in inchiostro rosso come le site, due fratelli di Racale. Francesca mi racconta uno dei proverbi rovesciati, un vecchio detto contadino, che ha trascritto su uno dei cartelli distribuiti nel percorso narrativo ideato per condividere la terra di famiglia con gli ascoltatori che, di volta in volta, sono invitati a scoprirla: “Chi non si ferma, è perduto”. Fermatevi. Non perdetevi, ritrovate la strada di casa. La mappa emotiva è nel sapore dolcemente acidulo dei chicchi color rubino, somma delle moltiplicazioni sovrabbondanti dei melograni dai frutti come cuori aperti passati di mano in mano. Toglietevi le scarpe, lasciate che siano i piedi ad ascoltare, come quando eravate bambini, involontariamente santi, scalzi. Lasciate che i vostri sguardi inneschino la ricerca di un’altra rete, connettetevi con un uliveto reimpiantato a leccini. E quando vostro nonno vi manca, fate una carezza all’ultimo ulivo secolare sopravvissuto in questi Orti abitati, salvatosi grazie ad un innesto che ha attecchito traghettando vite precedenti in questa storia. Perché non c’è tecnologia che tenga, niente resiste più di una storia: finché qualcuno la racconta per ricordarci che, malgrado i nostri orologi impazziti e le smanie schermate nell’algoritmo di un social, possiamo ancora essere umani in un mondo di replicanti. Ha ragione Francesca quando sottolinea che gli Orti abitati non sono da sovraffollare, bensì un rosario di grani dignitosi in cui ama infilare piccole passeggiate, letture di poesie, versi di Bodini ed altri cantori delle zolle che bisogna piegarsi a rivoltare per generare qualcosa di nuovo. Lo sapevano i contadini, lo sanno i sognatori.

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