Sabato 06 Settembre 2025 | 20:14

Partì da Bari Hannah Senesh eroina d'Israele, poetessa e paracadutista antinazista

 
Partì da Bari Hannah Senesh eroina d'Israele, poetessa e paracadutista antinazista

Venerdì 02 Maggio 2008, 00:00

12 Luglio 2025, 18:58

BARI - In Italia pochi conoscono Hannah Senesh. Nemmeno in Puglia, la regione da cui - secondo quanto riporta Melissa Aubin, dell'Università di Toronto - partì per il suo ultimo viaggio.
In Israele, invece, alla sua memoria è dedicato un museo (nel kibbutz Sdot Yam). Ci sono strade, monumenti, palazzi e perfino un bosco e un fiore che portano il suo nome. C'è anche una Fondazione «Hanna Senesh». In un sondaggio (di cui ha parlato anche la stampa italiana) gli israeliani l'hanno messa nella rosa delle personalità illustri. Lì, in cima a quella classifica, è la sola donna. Per gli israeliani viene prima di Golda Meir, che pure fu il quarto premier d'Israele (1969). Perché Hannah è un simbolo, è la loro Giovanna d'Arco. Una donna che preferì tentare di salvare il suo popolo, piuttosto che salvare se stessa.
POETESSA GUERRIERA
Secondo la ricostruzione degli storici, atterrò a Bari l'11 marzo 1944. Aveva soltanto 22 anni.
Era nata a Budapest, il 17 luglio del '21, ed era cresciuta serena, in una famiglia agiata.
Il suo papà, Bela Senesh, era un noto giornalista e morì quando lei aveva soltanto sei anni. Da lui ereditò il talento e la passione per la letteratura. Anzi, avrebbe voluto proprio diventare una scrittrice, se avesse potuto. Era il suo desiderio e lo scrisse in uno dei diari che teneva da quando era piccola.
Le piaceva trasformare in «inchiostro» i giorni e i pensieri. Aveva scritto anche poesie e canzoni.
Inoltre era una studentessa modello, aveva il massimo dei voti.
Poi però arrivarono il nazismo e le persecuzioni. Tutto cambiò.
Hannah scoprì il sionismo e l'«opzione terra promessa». Anche se era cresciuta in una famiglia «laica», aderì al movimento dei giovani pionieri ebrei in Palestina. A 17 anni decise di imparare la lingua ebraica e, una volta diplomata, di trasferirsi in Palestina.
Poco dopo l'inizio della Seconda Guerra mondiale, Hannah andò a vivere ad Haifa. Più che una fuga, era l'affermazione d'un piano strategico: una comunità ebraica stabile voleva dire mai più Diaspora.
Si iscrisse all'Istituto agrario di Nahalal (una delle prime colonie collettivistiche a introdure il profitto privato). Nel '41, abbracciò la severa disciplina del kibbutz e pare che proprio a Sdot Yam abbia scritto i suoi versi più appassionati. Nello stesso anno entrò a far parte dell'Haganah (l'esercito clandestino di difesa, sorto negli anni Venti). Nel '42 militava nel Palmach, ramo scelto dell'Haganah.
L'ORA DI COMBATTERE
Intanto, stretti tra quell'insulto all'Umanità che fu il tritacarne-nazista e l'immigrazione, tra gli ebrei di Palestina si impose, con urgenza, la necessità di un'azione che non si limitasse a patire (nei campi di concentramento), e resistere (nei ghetti vi furono circa un centinaio di rivolte). Gli ebrei volevano combattere. Combattere per salvare gli ebrei. Ma come? Con che mezzi? La Palestina era sotto mandato inglese. Israele non era ancora uno Stato indipendente.
Alla fine, nel 1943, la Gran Bretagna consentì ad un piccolo gruppo di ebrei di Palestina di partecipare a missioni nell'Europa occupata. Erano volontari e tra loro ci fu Hannah (che così sperava anche di salvare sua madre, che era rimasta in Ungheria).
Secondo le fonti, la Senesh fu la prima donna ad arruolarsi fra i paracadutisti.
Lasciò i suoi ultimi scritti agli amici del kibbutz e, dopo un periodo d'addestramento al Cairo, partì per la sua missione. Assieme ad altri sei paracadutisti, doveva raggiungere l'Ungheria, sostenere i partigiani e informare gli Alleati sulle mosse dei nemici.
BARI ADDIO
Fu così che arrivò in Puglia, a Bari, trampolino di lancio per le più incredibili missioni oltre le linee nemiche.
Il suo nome in codice era Hagar, come la schiava che partorì Ismaele, il primo figlio di Abramo. Un nome potente che evoca obbedienza, esilio, lotta per la sopravvivenza e un futuro, che si eterna in altre membra.
Hagar fu scacciata - assieme al suo bambino - quando Sara, l'anziana moglie di Abramo, restò miracolosamente incinta di Isacco.
Tradizionalmente, dai due fratellastri si ritiene discendano i musulmani (da Ismaele), e gli ebrei ed i cristiani (da Isacco).
A Bari, Hannah, trovò una città ancora convalescente. Il 2 dicembre i tedeschi avevano colpito duro. Il bombardamento aveva ucciso circa 2.000 persone e causato danni enormi. Tra le 17 navi affondate dalla Luftwaffe, c'era anche l'americana «John Harvey». Trasportava bombe all'iprite, ovvero armi di distruzione di massa vietate dal Trattato di Ginevra. Il capoluogo pugliese fu teatro del più grave episodio di guerra chimica della Seconda Guerra mondiale.
La ragazza si fermò in Puglia per due giorni. Bari fu l'ultimo lembo di terra libera che toccò. L'ultimo posto in cui fu al sicuro.
Il 13 marzo del '44 si fece paracadutare in Slovenia.
Il 15, però, la Germania fece scattare l'operazione «Margarethe I». In Ungheria giunse un corpo di spedizione militare comandato dal generale Maximilian von Weichs e un grosso contingente di SS, 200 o 300 dei quali erano nel «Comando Speciale» guidato da Adolf Eichmann (l'aguzzino protagonista del libro-reportage «La banalità del male» di Hannah Arendt).
In breve tempo, i nazisti portarono a termine il loro piano: la distruzione dell'ultima grande Comunità ebraica d'Europa.
BOCCIOLO D'ACCIAIO
Hannah fu scoperta e imprigionata proprio nella sua Budapest.
Restò nelle mani della Gestapo per quattro mesi. Malgrado la torturassero, gli uomini del Reich non riuscirono a far parlare quel bocciolo d'acciaio.
Poi s'arresero e la mandarono a morte. Lei non chiese la grazia.
Il 7 novembre del 1944 le pallottole del plotone d'esecuzione le strapparono la vita.
Hannah non riuscì a salvare sua madre Catherine. Anzi, quest'ultima fu addirittura testimone delle sofferenze di sua figlia. Fu imprigionata con lei. Le fu accanto nei giorni delle torture e, dopo, divenne il suo avvocato difensore. Ma fu tutto inutile.
Tradotta dall'inglese, una poesia di Hannah Senesh recita: «Ci sono stelle il cui splendore è visibile sulla terra, anche se già da lungo tempo si sono estinte. Ci sono persone la cui brillantezza continua ad illuminare il mondo, anche se non sono più tra i vivi. Queste luci sono particolarmente brillanti, quando la notte è buia. Illuminano la via per l'umanità».
L'eredità di Hannah Senesh è il suo esempio ed è di tutti. Perché gli ideali non sono di un individuo o d'un popolo. Gli ideali sono d'ogni Paese, etnia e credo. Sono bagliori vividi, di cui c'è bisogno ovunque sia notte.
Marisa Ingrosso

ingrosso@gazzettamezzogiorno.it

(Il ritratto che pubblichiamo in apertura è tratto dalla foto della locandina del film-documentario Blessed Is the Match - della Katahdin Productions - dedicato alla vita di Hannah Senesh, che verrà presentato in anteprima mondiale al Toronto Jewish Film Festival che si svolge a fine maggio a Toronto)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)