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Bari, amarcord Calabrese nella fabbrica abbandonata

 
Bari, amarcord Calabrese nella fabbrica abbandonata

Lunedì 31 Marzo 2014, 09:43

03 Febbraio 2016, 04:42

di Ninni Perchiazzi

BARI - Tutti insieme in onore e nel ricordo di Don Peppino, come solevano chiamarlo tutti. Giuseppe Calabrese, deus ex machina della fabbrica simbolo della Bari industrializzata protagonista del boom economico è ancora nel cuore di tutti.

Sono almeno trecento di ogni ordine e grado i dipendenti accorsi nella sede della vecchia industria, spesso accompagnati da mogli e figli per celebrare la pubblicazione del libro «Sul filo dei ricordi con il Cav. Giuseppe Calabrese», scritto da Giovanni Mercadante, dedicato al capitano d’industria barese (scomparso nel 1998) che tanta parte ha avuto nel loro vissuto.

Per i più è un tuffo nella nostalgia e nel passato, un pezzo di vita di ciascuno di loro che torna a galla con tutto il suo carico di ricordi ed emozioni. Aneddoti, abbracci, pacche sulle spalle e lacrime si sprecano nella mattinata domenicale omaggiata dallo splendido sole primaverile, che rende meno spettrali gli storici capannoni ormai da anni devastati da abbandono e degrado. Dall’ingresso nell’area della zona industriale, che il capoluogo condivide con Modugno, fino alla sala mensa, dove si svolge l’evento, è un susseguirsi ed un sommarsi di suggestioni e amarcord.

Seduti attorno ad ogni tavolo ci sono tanti ex dipendenti. In uno dei tanti consessi improvvisati c’è Enzo Calabrese, figlio del cavaliere. «Qui lavoravano duemilacento persone», dice guardandosi attorno. «Ogni giorno producevamo macchine che esportavamo in cinquanta Paesi in tutto il mondo, ma poi ci hanno abbandonato tutti, quando eravamo una risorsa che avrebbe potuto continuare a dare e creare lavoro per anni», racconta con rammarico. Per poi aggiungere con orgoglio. «Numerose aziende che sono sorte attorno alla Calabrese negli anni, sono andate avanti grazie ai nostri dipendenti».

Il tuffo nella memoria è anche un ritorno alle origini. Ad insegnamenti che non si dimenticano. «Noi mangiavamo in mensa con gli operai e con mio padre stavamo 12 ore al giorno in fabbrica», ricorda ancora l’ingegnere Enzo. «Questa è stata la prima mensa della zona industriale di Bari - dice ancora -. Siamo partiti coi piatti caldi che si scaldavano, per passare poi ai precotti e tornare ai piatti caldi».

Angelo Popeo, folti capelli bianchi in evidenza, ha lavorato 26 anni in amministrazione. «Mi ha fatto male vedere le stanze di Don Peppino, occupate da altri», dice commovendosi. Poi con gli altri ex compagni di viaggio, racconta in condominio un’immagine nota del presidente. «Ti ricordi quando Don Peppino si arrabbiava. “Piggh’ la giacchetta e vattin”, diceva a chi non si comportava come si deve», narrano l’un l’altro, , mentre Pasquale Tempesta, 26 anni di anzianità aziendale elogia il capitano d’impresa. «Bisogna fagli una statua».

Gianbattista Langmann, per per 33 anni al servizio della Calabrese, era responsabile dell’ufficio acquisti, in pensione dal ‘94. «Trovare vecchi amici è impagabile, così come è davvero duro vedere i capannoni in degrado, ma purtroppo questa è la vita», dichiara.

Occhi tristi, ma carichi di orgoglio anche per Antonio Gelsomini, che anni fa ha raccolto l’eredità del padre. «Qui dentro c’è un pezzo di cuore e della mia famiglia. Anche mio padre ha lavorato qui».

Infine Gaetano Scarpa, addetto alla manutenzione, è uscito dalla fabbrica nel 1996 dopo oltre 20 anni di servizio. «Quando ho varcato il cancello stamattina (ieri, ndr) mi sono sentito male, avrei voluto piangere. Siamo sempre stati seguiti al lavoro da Don Peppino, che mai avrebbe fatto chiudere l’azienda».
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