Presidente Buquicchio, oggi la cerimonia per i vent’anni della Commissione di Venezia è una festa della democrazia, ma i diritti umani vengono ancora violati nel mondo. Come giudica, ad esempio, l’ultimo blitz sanguinoso compiuto da Israele in acque inter nazionali? «Israele ha aderito alla Commissione di Venezia, quindi afferma di condividerne i principi ispiratori. Va detto tuttavia che noi non possiamo intervenire direttamente su certe questioni. Occorre almeno una richiesta congiunta da parte di due Stati membri. Agiamo su chiamata e le chiamate purtroppo non mancano, specie da parte di Stati bisognosi di un nuovo assetto giuridico. Per semplificare, siamo in qualche modo i 'pompieri del diritto costituzionale'».
Pompieri che non possono intervenire nell’incendio di Gaza, certo. Tuttavia i vertici del Consiglio d’Europa, di cui fate parte, hanno espresso la loro condanna. «Non si può non ammettere che la reazione di Israele sia stata eccessiva e sproporzionata, al punto da provocare la morte di nove persone. Il blocco di Gaza di per sé è un atto inumano perché isola un’intera popolazione dal mondo».
Il governo dello Stato ebraico giustifica le sue azioni con ragioni di sicurezza. Dice che è in gioco la sua stessa sopravvivenza. «Capisco bene le ragioni di Israele, costretto spesso a difendersi da attacchi terroristici, ma il punto non è questo».
In che senso? «La lotta al terrorismo, pur indispensabile, non può prescindere mai dal rispetto dei diritti fondamentali e universali. Ne abbiamo a lungo discusso anche giovedì scorso a Venezia e tutti convenivano su questa posizione. Nessuno può mettere in discussione principi irrinunciabili, invincibili per noi, perché costitutivi dell’anima europea».
Non è facile parlare di diritti in una regione attraversata dall’odio. «Chi aderisce alla Convenzione dei diritti dell’uomo deve rispettarla. Ci sono vari organismi deputati alla soluzione del conflitto in Medio Oriente, alla conciliazione fra le parti. Noi svolgiamo un ruolo più silenzioso, forse, ma operativo. Israele partecipa assiduamente ai nostri lavori. L’Autorità palestinese ci ha interpellatoper alcuni aspetti giuridici e in particolare per la creazione di una Corte costituzionale. Sosteniamo i suoi sforzi di adeguarsi agli standard di democrazia e così forse diamo anche un contributo alla pace».
Nel tempo la Commissione ha allargato il suo raggio d’azione oltre i confini europei. «Sono 47 i paesi europei (tutti, tranne la Bielorussia) che si sono impegnati a rispettare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, diventando così democratici, ma la Commissione di Venezia non si è sciolta per due motivi. Da un lato resta un indispensabile organo di controllo costituzionale dei paesi membri del Consiglio d’Europa, dall’a l t ro fornisce supporto a qualsiasi paese, anche al di fuori dei confini del continente, ne richieda l’intervento».
Altri esempi? «Al Sudafrica diamo il nostro sostegno e mi piace ricordare che anche la Corea del Sud ha chiesto un aiuto e altri ancora. Noi mettiamo in contatto un Paese con l’altro, creiamo anche una rete di conoscenze».
Cosa vuol dire? «In fondo è uno dei nostri compiti primari: mettere in comune i saperi giuridici del mondo. Sono convinto che ciò aiuti lo sviluppo della democrazia ovunque».
Il bilancio di questi vent’anni? «Se la nostra missione fondativa, dopo il crollo del Muro di Berlino, era quella di avviare i Paesi dell’Europa centro- orientale al rispetto e all’uso permanente delle regole democratiche, il risultato è stato raggiunto. E anche in tempi molto più rapidi e sorprendenti rispetto alle previsioni. Basti pensare a quanti Paesi hanno saputo scrivere le loro Costituzioni, a quanti sono entrati o stanno per entrare nell’Unione europea».
E all’Italia che voto darebbe in materia di democrazia e diritti umani? «Non esiste una democrazia perfetta e il nostro paese, sul piano dei diritti, è imperfetto come tanti altri. Ci sono sempre modifiche da adottare, aggiustamenti da compiere. Ciò che conta è la volontà di correggere i propri errori».
Già, esiste questa volontà? «Proprio gli Stati dell’Europa occidentale sono a volte recalcitranti nel comprendere la necessità di aggiornare le proprie strutture giuridiche e istituzionali, forse per una sorta di complesso di superiorità. Per fortuna oggi vedo qualche approccio diverso dal passato. Come quello di Finlandia, Norvegia e Lussemburgo. Paesi di antica democrazia che pure non hanno riserve nel rivolgersi a noi».