Comincerà il 14 gennaio il processo per la «strage di Cutro». Sono infatti stati rinviati a giudizio i sei militari, quattro della Guardia di finanza e due della Guardia costiera, coinvolti nell’inchiesta sul naufragio del barcone a Steccato di Cutro, in cui, la notte del 26 febbraio del 2023, morirono 94 migranti, 35 dei quali minori. La decisione è stata presa dal Gup di Crotone, Elisa Marchetto, al termine dell’udienza preliminare. Ai sei militari vengono contestati i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo in relazione alla mancata attivazione, la notte del naufragio, del Sar, il Piano per la ricerca ed il salvataggio in mare.
Tra gli imputati c’è anche Nicolino Vardaro, 52enne comandante del Gruppo aeronavale di Taranto e poi i finanzieri Giuseppe Grillo, 56 anni, capo turno della sala operativa del Reparto operativo aeronavale di Vibo Valentia, il 50enne Alberto Lippolis comandante del Roan, il 51enne Antonino Lopresti, ufficiale in comando tattico e infine i due militari della Guardia Costiera: la 40enne Francesca Perfido, ufficiale di ispezione in servizio a Roma, e il 51enne tarantino Nicola Nania che era di turno nel Comando regionale della Capitaneria di porto di Reggio Calabria la notte del naufragio.
Per il pubblico ministero di Crotone, Pasquale Festa, tutti avevano «il prioritario, fondamentale e ineludibile obbligo di salvaguardare la vita in mare», ma qualcosa in quelle ore non funzionò. Il pattugliatore Barbarisi non ha «mai mollato gli ormeggi a causa delle condizioni marine avverse» e, per le stesse ragioni, la motovedetta della Guardia Costiera aveva invertito la rotta. Una serie di azioni che fecero perdere il contatto radar sull’imbarcazione che dalle buone condizioni di galleggiabilità al momento dell'avvistamento, si ritrovò poco dopo ad affrontare la tempesta in mare. All’imputato Lopresti, in particolare, la procura calabrese contesta di essere rimasto «inerte» in presenza «di un quadro meteo marino in peggioramento»: l’ufficiale sarebbe rimasto in attesa che Vardaro «ordinasse, alle ore 02.05, l’impiego del pattugliatore Barbarisi». E invece a quest’ultimo viene contestato di non aver avocato a sé il comando dell’operazione in quei momenti di silenzio da parte di Lopresti. Quel tempo perso, secondo l’accusa, avrebbe permesso di raggiungere l’imbarcazione a soli 2 miglia dalla costa e non a 12 miglia, dove cioè cominciano le acque territoriali italiane.