La legge che ha permesso di salvare la stagione di una buona parte dei lidi salentini finirà davanti alla Corte costituzionale. Come era ampiamente previsto, il Governo ha impugnato la normetta approvata dal Consiglio regionale a fine luglio, che ha escluso l’obbligo di parere paesaggistico per il rilascio delle autorizzazioni temporanee ai parcheggi realizzati in area agricola. Ma ha anche impugnato la legge 13 con cui, a giugno, è stato imposto l’obbligo di installazione di telecamere all’interno delle Rsa e delle strutture riabilitative.
La legge salva-parcheggi, infilata come emendamento in un debito fuori bilancio, è chiaramente incostituzionale al punto che la sua validità è limitata al 31 dicembre, per cui arriverà davanti alla Consulta quando ormai non servirà più. Il problema era nato perché numerosi Comuni della provincia di Lecce non hanno rilasciato le autorizzazioni in mancanza del parere paesaggistico, provocando le proteste dei gestori dei lidi. La soluzione trovata è stata appunto quella di approvare una norma transitoria («Scelta dettata dal senso di responsabilità: garantire la sicurezza di centinaia di cittadini e turisti. Abbiamo agito consapevoli che si tratti di una norma di carattere temporaneo ed eccezionale», spiegò il presidente del Consiglio regionale, Loredana Capone) che ha solo rinviato il problema al prossimo anno con una mossa che salva solo apparentemente i gestori (l’annullamento della Corte costituzionale vale ex-tunc) dalle sanzioni previste per le violazioni urbanistiche.
La legge statale non consente di autorizzare parcheggi in aree agricole senza il via libera delle Soprintendenze, e le Regioni non hanno competenza in materia. In questi casi - è scritto nell’impugnativa - «devono comunque essere rispettate le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia tra cui, in particolare, le disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio».
Diverso il discorso per la legge che impone le telecamere di sorveglianza nelle Rsa, proposta da Antonio Tutolo (gruppo Misto) all’indomani dello scandalo dei maltrattamenti nel Don Uva di Foggia. L’obbligo di installazione delle telecamere sarebbe dovuto partire dl 20 settembre. In questo caso Palazzo Chigi parla di «lacunosità della disciplina regionale» che «non è compatibile con il principio di proporzionalità», ovvero il bilanciamento tra le esigenze di sicurezza e la protezione della privacy, e travalica le stesse competenze della Regione. E a nulla rileva che, secondo la legge pugliese, le immagini possono essere esaminate soltanto dall’autorità giudiziaria, perché si tratta di «aspetti che afferiscono all’ordinamento penale», e dunque interferiscono con le prerogative dell’autorità giudiziaria».
Il giudizio del Governo è dunque perentorio. «Ogni intervento normativo in materia - scrive Palazzo Chigi - deve necessariamente coniugare, infatti, la tutela di soggetti in condizione di particolare vulnerabilità rispetto al rischio di abusi e violenze, l’esigenza di ricostruzione probatoria di reati per i quali nella maggior parte dei casi non si dispone di testi in grado di agevolare gli accertamenti, la libertà del lavoratore nell'adempimento della prestazione e, infine, il diritto alla protezione dei dati personali dei vari soggetti ripresi dal sistema di videosorveglianza (i lavoratori, ma anche gli stessi ospiti delle strutture di cura)». Oggi l’orientamento del Garante della privacy è di consentire l’installazione delle telecamere negli ambienti comuni e nelle zone di passaggio (previo accordo tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali), ma non nelle aree di cura e dunque nelle stanze di degenza. Un ostacolo che la Regione avrebbe voluto scavalcare.