«Io giovane sottocapo radarista ho sentito la voce del Signore»
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Armando Fizzarotti
15 Febbraio 2021
FOGGIA - Il programma è rendere capaci i nuovi F-35A da 80 milioni l’uno non solo dell’aviazione militare statunitense ma della Nato (Italia compresa) di caricare e sganciare le nuove bombe nucleari B61-12 (potenza di ognuna fra gli 0,3 e 50 kilotoni: quest’ultima misura equivale al triplo della potenza della «Little boy» che polverizzò Hiroshima nel 1945). Significativi avanzamenti del programma sono stati raggiunti nel corso di esercitazioni («Red Flag») nel deserto del Nevada, «palestra» anche degli F-35 e degli equipaggi del 32° Stormo di Amendola, la base dell’Aeronautica militare di Foggia, e di successivi test nella stessa area.
Ma non saranno i caccia «stealth» (invisibili o quasi ai radar) «pugliesi» a proseguire il compito di costituire la «forza nucleare» italiana (in un Paese che però ha rinunciato al possesso di tali armamenti), bensì quelli che arriveranno nella base di Ghedi (Brescia) in corso di ristrutturazione da parte dell’impresa «Matarrese» di Bari con un appalto da 91 milioni di euro. Sì, proseguire, perché a Ghedi in un’area riservata dell’aviazione statunitense (Usaf) sono già custodite le «vecchie» B-61 (15 il numero stimato), che nel caso di un conflitto nucleare Nato (l’Alleanza Atlantica) dovrebbero essere caricate e sganciate dai bombardieri Tornado, dotazione attuale del 154° Gruppo «Diavoli Rossi» del 61° Stormo di Ghedi. Un altro «grappolo» di B-61 (una ventina si stima) sono invece custodite nella base aerea di Aviano (Pordenone), aeroporto militare interamente gestito dall’Usaf e «nido» dei cacciabombardieri F-16, velivoli decisamente più vecchi degli F-35A e privi di capacità «stealth». Fra Europa e Turchia si calcola che attualmente l’Usaf disponga di 100 bombe B-61. È possibile che i 20 ordigni in territorio turco siano redistruibiti in Europa se Washington «divorzierà» politicamente da Ankara.
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