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Potenza, ritorna il «Petrolgate» a 5 anni dal disastro: oggi l'udienza

 
Massimo Brancati

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Massimo Brancati

Inchiesta Petrolgate

Sullo sfondo il giallo della morte dell’ex dirigente Cova, Gianluca Griffa

Lunedì 31 Ottobre 2022, 12:39

POTENZA - Cinque anni fa la scoperta che fece tremare la Basilicata. Oltre 400 tonnellate di petrolio fuoriusciti dai serbatoi del Centro olio di Viggiano. È l’inizio del cosiddetto «Petrolgate», inchiesta giudiziaria che oggi torna nell’aula del tribunale di Potenza per un processo che vede coinvolta Eni e il suo ex direttore del Distretto Meridionale, Enrico Trovato, imputato per disastro ambientale. Il Collegio presieduto da Rosario Baglioni valuterà anche l'ipotesi di accorpare i tre filoni che si sono sviluppati dall’inchiesta-madre in cui per gli stessi fatti sono coinvolti altri dirigenti della multinazionale, tra cui Ruggero Gheller, predecessore di Trovato, ed Andrea Palma, responsabile della manutenzione degli impianti. L'accusa, in questo caso, è per entrambi i dirigenti di disastro innominato.

In occasione dell’udienza, prevista per questa mattina a partire dalle 9.30, il coordinamento No Triv organizza un presidio all’esterno del palazzo di giustizia «per testimoniare - spiega il portavoce dell’associazione, Francesco Masi - la necessità di contrastare lo strapotere esercitato dalla multinazionale in Basilicata. Il sospetto - conclude Masi - è che quanto contestato a Trovato accadesse in realtà già da tempo, ma lo spartiacque è rappresentato dalla definizione del reato di disastro ambientale, contemplato dalla giurisprudenza soltanto a partire dal 2015».

Il processo è stato caratterizzato in questi anni da continui rinvii. L’inchiesta, lo ricordiamo, risale a febbraio 2017 e coinvolge tredici indagati, a vario titolo, tra cui l’Eni ed alcuni suoi dirigenti ma anche i componenti del Comitato tecnico regionale con il dovere di vigilare sulle installazioni a rischio di incidente rilevante. Secondo gli inquirenti, lo sversamento di inquinanti sarebbe durato anni prima di essere scoperto. In sostanza - sempre secondo il teorema accusatorio - pur pur sapendo delle perdite che si verificavano già dal 2012 dai serbatoi di stoccaggio del greggio non avrebbero detto nulla né posto in essere le condotte per evitare tale situazione, determinando un disastro ambientale «consistito - spiega l’accusa - nella grave compromissione della qualità delle acque superficiali in zona Fossa del Lupo, per la presenza di solventi organici aromatici in concentrazione oltre i limiti consentivi, nella grave compromissione delle acque sotterranee all’interno e all’esterno del Cova. E ancora, nella compromissione di suolo e sottosuolo all’interno del Cova». Una situazione che costrinse la Regione a disporre l'interruzione del flusso di acque del drenaggio fatto nella zona industriale per evitare il propagarsi dell’inquinamento verso il fiume Agri e l’invaso del Pertusillo.

Per l’accusa Trovato non avrebbe mai comunicato le perdite verificatesi nel 2012 dal serbatoio A e nel 2013 dal serbatoio C e non avrebbe proceduto alle necessarie ispezioni negli altri due serbatoi pur sapendo che erano degradati.

Sullo sfondo dell’inchiesta giudiziaria il giallo del presunto suicidio di Gianluca Griffa, dirigente del Cova fino al 2013 che avrebbe lasciato tre lettere nelle quali accuserebbe i suoi superiori di averlo costretto al silenzio di fronte alla scoperta di perdite dal serbatoio del Cova.

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