Clan inabissati ma vivi. Piazze della droga fiorentissime. Metapontino solita polveriera. Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese avrebbe dovuto inaugurare oggi la nascita della Dia lucana, ma i venti di guerra ne hanno per ora differito la visita potentina.
La sezione operativa di Potenza della Direzione investigativa antimafia (la sede è al numero 90 di via Vaccaro) è una piccola vittoria personale del procuratore Francesco Curcio. Che il territorio regionale sia già culla di una criminalità adulta, è noto a tutti. Che la pressione delle mafie di Calabria, Campania e Puglia prema sui confini, è ben intuibile. Che alla fine la Basilicata possa trasformarsi nel teatro di guerra tra varie compagini, è il rischio da scongiurare. Di qui l’importanza di un gruppo di investigatori che lavori solo sul fronte del contrasto alle associazioni di stampo mafioso. Con Francesco Curcio tentiamo la ricostruzione più realistica possibile dello stato delle cose.
Procuratore, quali sono le condizioni dei sodalizi lucani? Piegati, ridimensionati da inchieste e sentenze? Oppure vivi e agguerriti?
«I clan ci sono. Sono sempre quelli e perseverano nei loro affari consolidati: racket, droga e traffico di armi. Certo, le organizzazioni hanno risentito dei colpi della giustizia. Pensiamo a Potenza, Martorano è tornato in libertà ma è rimasto in carcere per oltre 20 anni».
E il gruppo Riviezzi?
«È sempre sulla breccia».
La faida di Melfi sembra silente.
«Mah.. i Cassotta sembrano indeboliti, i Delli Gatti sono sempre lì. Parlerei più di pax mafiosa. Comunque anche loro stanno “lavorando”».
La città di Matera impensierisce meno?
«Tutt’altro. Lì abbiamo incombenti i gruppi pugliesi, in particolare di Altamura. E c’è interesse anche dalla Calabria. Si vende molta, molta droga a Matera».
E la storica mala di Montescaglioso?
«I focolai sono sempre accesi. Questa ad esempio (Curcio prende dalla scrivania un corposo fascicolo) è la sentenza dell’omicidio dello scorso anno di Antonio Grieco, ucciso nel bosco dinanzi al figlio in un agguato che ha qualcosa di sinistramente cinematografico. La condanna è stata inflitta a Giuseppe D’Elia, sullo sfondo, anche qui, il mercato della droga».
Il Metapontino appare l’area più calda, anche per le notevoli infiltrazioni mafiose nell’economia sana, per quella filiera agroalimentare costantemente sotto attacco.
«Non c’è dubbio. Eloquente la conversazione di un indagato intercettata nel corso di un’indagine. Lui accompagna delle persone a vedere la sua azienda specializzata nella produzione di fragole e illustrandone l’ampiezza e la bellezza dice che tutto questo è stato possibile grazie ai “compari”. Ovviamente l’azienda è stata sequestrata».
Procuratore, lei insiste molto sulla droga. È uno dei motivi di allarme che più d’altri dovrebbe impensierire la comunità lucana.
«È un grosso problema. Un tempo al controllo sociale non sfuggiva chi fumava lo spinello o chi si iniettava eroina. Era anche più difficile per gli spacciatori muoversi in certi contesti. Oggi anche un paesino di 1.500 abitanti ha una sua regolare piazza di spaccio. L’azione criminale si è fatta decisamente più capillare».
L’avvio della sezione operativa della Dia in Basilicata darà un buon contributo alla lotta al crimine organizzato.
«Beh, sarà un gruppo di lavoro impegnato solo su questo terreno. Grande il lavoro fatto in questi anni dalla polizia o dai carabinieri, che tuttavia sono chiamati a fronteggiare anche altre forme di minaccia alla sicurezza pubblica».
Quante persone saranno al lavoro nella Dia lucana?
«A regime saranno 23 tra uomini e donne. Adesso cominciamo con un gruppo di 15. Ma sia chiaro: non aspettiamoci risultati immediati! I primi frutti del potenziamento della lotta alla mafia cominceremo a coglierli non prima di un anno e mezzo. L’importante è il messaggio che la presenza della Dia comunica alla comunità lucana».
Quale messaggio?
«Questa non è più terra di nessuno».