I riccioli ribelli incastonano uno sguardo che la barba brezzolata rende ancora più accogliente. Fai fatica a credere: 72 anni chiusi in un fisico sodo. Gli occhi sono fessure che s’abbassano ogni volta che c’è da rispondere. Uno dei pochi sorrisi è per il bicchiere, rimasto vuoto, coi cubetti dove sarebbe dovuto andare a finire l’espresso caldo: «Non avevo mai preso un caffé al ghiaccio».
Dino Becagli, non sarà un po’ troppo titolare «Il mio teatro» la raccolta dei suoi migliori lavori teatrali? Per carità, bel lavoro questo «copione dei copioni»...
«...non si fermi al titolo, scorra sotto. “La mia terra”»
Quindi?
«Quindi, lungi da me identificarmi in un caposcuola, certo che non sono Pirandello né Carmelo Bene, ci mancherebbe; ma la scelta del titolo tende a far intendere che il libro contiene i miei lavori, da sempre ispirati alla e dalla mia terrao. A terra d’ u ricorde in omaggio a Pierro, La rosa nel calamaio per Sinisgalli, Il Filo d’erba” per Scotellaro, lo Zibaldone lucano, Il Treno dell’oblio sulla tragedia di Balvano, Centocinquantalabasilicatacanta, La breve illusione del compianto Pietro Basentini, Le regine dei boschi sulle brigantesse del postunitario, La realtà dell’apparenza, La scaramuzza e la riduzione da un libro di Giuseppe Lupo de A momenti ti mettevi a volare, sono i pezzi forti di questa raccolta di copioni che il Teatro Minimo di Basilicata, di cui sono il direttore artistico, ha prodotto negli anni. C’è anche la novella “Se…” in cui il già citato Pirandello parla di Potenza. Sa una cosa?».
Cosa?
(Secondo e ultimo sorrisetto) «Il “Copione dei copioni” mi piace, avrebbe funzionato di più come titolo»
Colpisce la grande cura nel riportare le indicazioni e le note di regia. Pedagogia teatrale?
«Mi rendo condo che disturbano la fluida lettura, ma così chiunque può ricostruire la messinscena originaria e mi viene da pensare particolarmente alle scuole della regione dove questo patrimonio di letteratura, storia e tradizioni non solo va diffuso, ma cementato e difeso. Proprio la volontà di difendere e diffondere questo patrimonio, mi ha spinto a pubblicare questi lavori, altrimenti destinati all’oblio del cassetto di una scrivania».
E allora qual è il «suo» teatro, a parte l'amore per la Basilicata dai mille campanili, colori e profumi?
«Approfondire le radici, restituire autenticità e dignità al racconto dei vinti, scovare e divulgare il patrimonio storico, culturale e ambientale di cui rimane traccia nella tradizione popolare. Il mio teatro è quello dove la recitazione si accompagna alla musica di sottofondo, dove l’attore è chiamato a recitare portandone lo stesso ritmo, direi a ballare sulle parole che gli scaturiscono dalle labbra, dove l’immagine proiettata completa spesso la messinscena sempre tesa all’emotività per far scaturire quella che mi ha insegnato Albino Pierro: “A mascìa”»
Dopo il Covid sembra che il polso del teatro anche da noi abbia ripreso a battere. Sensazione sbagliata?
«Le posso parlare della mia compagnia. “Presente drammatico, futuro ignoto”. Il Teatro Minimo ha dovuto interrompere i lavori della sua nuova pièce dal titolo “Emigrant” agli inizi della pandemia e non li ha ancora ripresi. Dal copione ha estrapolato comunque “Lettera di Natale” una prosa di Raffaele Nigro, sullo spopolamento della regione, realizzandone un dvd. Ha effettuato la scorsa estate una sola replica in un luogo all’aperto quale il Parco Baden Powell dello spettacolo incentrato sull’ecologia “Il Cantico delle Creature - Salviamo il Pianeta-” che forse replicheremo anche quest’anno in poche piazze della regione tra cui Matera e cercherà di non perdere l’occasione offerta dal settecentismo anniversario della morte di Dante con uno spettacolo che rifugge gli stucchevoli rigorismi e strizza l’occhio ai giovani, con l’inserimento di canzoni d’autore oggi in voga, per contestualizzare problematiche odierne. Certo la nostra è una piccola compagnia, abituata da sempre ai sacrifici, per questo forse abbiamo patito meno degli altri, ma la vedo dura anche se è un settore questo pieno di vitalità e invenzioni con ricorsi alla diretta streaming, alle audio-letture. Ma il teatro reclama le tavole e le luci del palcoscenico e soprattutto il suo pubblico ancora intimorito dei luoghi chiusi».
Le quattro sezioni di questo «copione dei copioni» racchiudono momenti diversi. I recital attraversano la poesia di Pierro, Sinisgalli e Scotellaro: cosa accomuna i suoi «omaggi»?
«La lucanità. Lucanità che mi appartiene. Il mio cognome non è lucano, mio nonno era fiorentino, ma non mi sento toscano come non mi sento lombardo come non mi sento pugliese né campano, anche se sono un uomo del Sud indubitabilmete».
Un'altra sezione taglia la storia della nostra storia, con un saccheggio felice di lavori preziosi come quelli di Lupo e con le commedie musicali sulla Repubblica Napoletana e sul Brigantaggio al femminile. Il tratto d'unione?
«Non si tratta di saccheggio anche se spesso ho usato il copia-incolla. È stato il rigoroso rispetto dell‘opera letteraria, peraltro vincitrice del premio Viareggio di quell’anno, a inibirmi ogni intervento sul testo. Non si fa, sarebbe stato un deleterio restyling, sarebbe stato come sostituire il gradino di una vecchia scalinata materana con lucido marmo. Come si fa a cambiare una sola parola a quel libro?. E come preciso nella presentazione, il grosso del lavoro è stato reinventarlo nella finestra proiettata sullo sfondo che mi ha intrigato fino alla fine col dubbio che era meglio che la pièce si intitolasse La finestra dell’incanto. La stessa logica è valsa anche per i recital. Per quanto riguarda la commedia musicale di Pietro Basentini, ho curato solo la messinscena, il testo è tutto del compianto. Ad unire questi lavori è la Storia, il meridionale trapiantato al Nord, quella degli alberi della libertà, quella del brigantaggio postunitario».
Ampia la parte dedicata al vernacolo potentino: cos'è il bisogno di restituire una valenza a una «lingua» finita nel sottoscala della postmodernità?
«La tua lingua, quella di casa tua dell’intraducibile “cacché” ti appartiene fin dentro e giova alla salute allo stesso modo dell’aria natia, quando con il treno da Roma o da Milano arrivi a Picerno e ti senti a casa, allo stesso modo di quando con l’automobile esci dalla galleria del Marmo. Pochi ormai parlano il potentino e non sento più in giro gli accenti di zia Elena o del buon Peppino Lotito che aprivano il cuore. E di cosa vuoi parlare se non delle cose che ti fanno vibrare?».

Dino Becagli
Dino Becagli, autore e attore della Compagnia del teatro Minimo di Potenza
Lunedì 28 Giugno 2021, 16:33