Una notizia accettata con favore, ma non mancano obiezioni e distinguo. La chiesa lucana ha accolto positivamente il protocollo che le Cei ha concluso con il Governo, grazie al quale dal 18 maggio si potrà tornare a “dire messa” alla presenza, sebbene contingentata, dei fedeli. Salvatore Ligorio, arcivescovo metropolita di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, ritiene che sia un «bene che si torni a celebrare l’Eucaristia alla presenza del popolo di Dio. È un atto fondamentale, perché la Chiesa deve avere il diritto della celebrazione liturgica. In merito alle condizioni poste, è comprensibile che si debba tutelare la vita umana, soprattutto quando possono nascere contagi a causa di questo nemico invisibile. Sono d’accordo sulle prescrizioni, dunque, ma spero che siano solo di passaggio e che presto si torni alla normalità, affinché la Chiesa possa esprimere con libertà il suo culto. L’osservanza delle regole? Molto dipenderà, in primis, dalla responsabilità dei fedeli, poi dei sacerdoti, che dovranno assicurare che quanto richiesto possa essere osservato».
Per il vescovo della diocesi di Tursi-Lagonegro, Vincenzo Orofino, «il protocollo d’intesa è una buona notizia che toglie un grande limite, offrendo ai cristiani la possibilità di partecipare alla celebrazione liturgica e di ricevere la comunione. Resta, però, la ferita del 26 aprile quando il premier Conte, nel presentare la ripartenza dell’Italia, non ha trovato spazio per l’opera della Chiesa. Un comportamento che ha trovato anche i vertici ecclesiastici impreparati: il 26 aprile anche la Cei non ha fatto bella figura».
Detto questo, Orofino ha spiegato: «È chiaro che è una bella notizia poter celebrare messa. Il protocollo? Credo che cerchi di tenere insieme due elementi importanti. Da una parte il bene della salute pubblica, che nessuno mette in discussione. Dall’altra, il bene spirituale dei cristiani. Le indicazioni possono aiutare a rispettare entrambi gli aspetti, anche se non capisco perché resti il limite di 15 partecipanti ai funerali e perché, se distribuisco la comunione durante un funerale, non devo indossare i guanti, mentre se lo faccio durante la messa domenicale sì. Forse il protocollo non manca di quel pizzico di buon senso e realismo necessari».
Qualche dubbio l’ha manifestato don Giuseppe Ditolve, parroco di Pisticci scalo, per il quale «è arrivata, dopo alcuni mesi e con ansia, la lieta notizia che ha fatto respirare i credenti. Si riparte con la celebrazione delle messe con il popolo, anche se, a dire il vero, c’è un tantino di paura che primeggia ancora perché stiamo parlando di un nemico perfido e invisibile che non fa sconti a nessuno. A mio avviso è prematuro riaprire i varchi. La decisione è stata presa senza pensare alla fase di riorganizzazione» ed è di non «facile attuazione in breve tempo da parte delle parrocchie, grandi e piccole, e non si sono calcolate le spese di sanificazione e igiene sanitaria che le comunità dovranno affrontare giornalmente». Ciò detto, don Ditolve ha auspicato che «dal 18 maggio in poi le chiese siano affollate più di prima per capire se realmente questa clausura sia stata un tempo di riflessione e maturazione della fede, o abbiano prevalso il fanatismo e il bigottismo di sempre. Mi auguro che le relazioni umane siano sincere e che la carità verso il prossimo risulti ampiamente divaricata, senza se e senza ma. Questo è il tempo della massima prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni emanate e da rispettare senza obiezioni o malintesi. Che il buon Dio ci aiuti. Che ci dia la forza di superare un’altra prova e di contare sulla speranza che non ha fine ed è l’ultima a morire. Nella vita, l’importante è non arrendersi mai. Andiamo avanti con audacia e spirito di collaborazione e disponibilità».