Essere formalmente disoccupati, tanto da percepire la relativa indennità prevista dal nostro sistema previdenziale, ma, nello stesso tempo, recarsi tutti i giorni al lavoro. Nei campi del Metapontino, così come in quelli del Bradano e di altre zone della Basilicata. Sono i cosiddetti «furbetti dell’assegno di disoccupazione» in agricoltura, una platea composta da lavoratori in nero che, purtroppo, resta sempre piuttosto consistente, ma della quale si sa poco (altrimenti non parleremmo di lavoro in nero o sommerso). Negli ultimi tempi, accanto alle numerose sortite dell’Ispettorato del Lavoro, spesso affiancato dai Carabinieri dello specifico settore, anche la Guardia di Finanza ha scoperto qualche caso, sul Tirreno come sullo Jonio.
In buona sostanza, raggiunta la fatidica soglia di 102 giornate lavorative utile a far maturare l’assegno di disoccupazione, spesso, in una sorta di convenienza reciproca tra domanda e offerta, il lavoratore diventa disoccupato per percepire l’indennità, ma, nel contempo, non cessa il rapporto lavorativo, che, però, diventa in nero. Sommerso. Con una prevedibile convenienza per il datore di lavoro (che risparmia sui contributi da versare e su tutto il plafond dei diritti da garantire in caso di assunzione regolare), ma anche per lo stesso lavoratore. Che, come detto, percepisce l’indennità e anche uno stipendio, ma ovviamente rinuncia a tutte le garanzie del caso. In Basilicata, purtroppo, il fenomeno non sembra accennare a diminuire: secondo alcuni dati dell’Istat, se in generale il fenomeno del lavoro sommerso diminuisce (ma i dati sono fermi al 2016), l’unico settore in aumento è, appunto, quello dell’agricoltura che ha fatto registrare un chiaro +0,7 in punti percentuali.
Più in generale, invece, secondo l’Alleanza delle Cooperative nella nostra regione sarebbero all’incirca 30mila le unità impiegate in nero, nei vari comparti. Ad iniziare dal lavoro stagionale, che coinvolge anche mano d’opera proveniente da altre regioni e che, per forza di cose, ha a che fare con il settore agricolo. Ma nessun comparto sarebbe esente, anche pure l’Alleanza delle Cooperative sottolinea come quello agricolo sia il più esposto, seguito dall’edilizia e dalla ristorazione. Particolarmente attivo anche da noi, inoltre, il fenomeno del lavoro nero nelle cosiddette false cooperative, che prediligono soprattutto i campi e, in particolar modo, l’area del Metapontino.
Ciò che è più preoccupante, però, è la considerazione che l’estensione del fenomeno, soprattutto al Sud, non consente quel controllo capillare necessario a sradicare una prassi consolidata da anni. Ma come funziona la truffa? Più o meno così: titolari di aziende compiacenti “vendono le giornate”, in pratica ingaggiano il lavoratore per il tempo necessario per il raggiungimento del numero di giornate che dà diritto al contributo, per poi licenziarlo. Il lavoratore, a questo punto, può inoltrare la richiesta all’Inps per ottenere il beneficio previdenziale e nel frattempo può anche continuare a lavorare. Ma potrebbe anche semplicemente accontentarsi dell’indennità e dedicarsi ad altro. A livello nazionale la “fetta” di sommerso ammonta a 100 miliardi all’anno e anche in Basilicata toccherebbe cifre importanti, ma non quantificate.