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Crac Cronotech: le verifiche su strani «giri» di soldi

Crac Cronotech: le verifiche su strani «giri» di soldi

 

Sabato 16 Giugno 2012, 09:00

17 Aprile 2020, 12:47

di NICOLA PEPE
I commissari del tribunale la chiamano «politica elastica» di royalties per lo sfruttamento del marchio «Cronotech» pari a 9 milioni di euro con società di diritto irlandese e con collegamenti con altra azienda del Liechtenstein. Ma intorno al crac di 40 milioni di euro dell’ex re degli orologi, il 41enne barese Giovanni Fasciano, ruotano una serie di interrogativi anche su fusioni e incorporazioni per ingoiare un gran numero di immobili riconducibili a una proprietà svizzera dalla «compagine non definita». Sul caso Watch service (già Global watch industries) leader nella commercializzazione di orologi, la Guardia di finanza ha depositato una serie di documenti che lasciano qualche zona d’ombra. 

La vicenda, di cui si è occupata la Gazzetta alcuni giorni fa, è finita intanto all’attenzione del tribunale fallimentare di Bari dove è in atto una procedura di concordato preventivo sulla quale dovranno esprimersi i creditori il prossimo 27 giugno, data della prossima udienza fissata dinanzi al giudice delegato, Franco Lucafò, presidente della sezione fallimentare. Per ora agli atti c’è la voluminosa relazione (la seconda) redatta dai commissari giudiziali nominati dal tribunale che in 114 pagine (il documento è a conoscenza degli oltre 560 creditori) descrivono le fasi che hanno contraddistinto il declino della società. O meglio, delle società della famiglia Fasciano per la commercializzazione mondiale di orologi. 

Un’avventura imprenditoriale partita da «Time Force», società di proprietà della famiglia Fasciano e detentrice del marchio «Cronotec» poi passato a società straniere, una delle quali in Liechtenstein, e non facilmente identificabili. E proseguita con la «Global watch industries», holding che in pochi anni ha visto crescere il suo fatturato fino a circa 80 milioni di euro (dati 2007/2008), salvo poi registrare un calo del volume di affari tra il 2008 e il 2010, momento in cui sono coincise alcune operazioni societarie che hanno portato l’azienda verso uno stato di progressivo «indebolimento» finanziario culminato con il concordato. E in tale periodo accadono alcune cose. La «Global watch industries spa» assume la denominazione di «Watch service» e contestualmente sigla un contratto di fitto d’azienda con una nuova società (una newco) la «Global watch industries srl» - controllata da oltre il 99% dal papà di Giovanni Fasciano, Michele - autorizzata all’uso del nome originario. Nel frattempo Giovanni Fasciano lascia l’incarico di amministratore della Watch service. 

La società, nel frattempo soffocata dai debiti, viene affidata a un liquidatore che traghetta l’azienda verso il concordato preventivo. Fasciano poi cede la sua partecipazione della «Internazionale immobiliare» (una trentina di appartamenti e locali tra Bari, Milano, Rosa Marina, Bergamo) alla svizzera Fortune reale estate partecipations «della quale non è disponibile la compagine sociale». La Wacth service propone di chiudere la partita di 40 milioni di euro di debiti con poco più di 17. Ipotesi ritenuta debole dalla terna commissariale che manifesta forti dubbi sulla consistenza di alcune poste attive. 

A fine 2011 la procura arriva a chiedere il fallimento, ma il tribunale accoglie un’istanza dell’azienda che rinunzia (caso più unico che raro) al concordato salvo poi ripresentare una nuova proposta, messa in discussione. Il perché è presto detto: uno dei principali crediti della società è rappresentato proprio dalla newco, la «nuova» società che avrebbe dovuto proseguire l’attività ma che in realtà ha accumulato anch ’essa perdite. Restano due immobili, uno a Bari e l’altro Milano, nonché alcune scorte di magazzino pari a 2 milioni e 600mila euro destinate a una società che si sarebbe fatta carico di acquisire la merce: cosa avvenuta solo in parte e non ancora conclusa. Degli altri crediti, ci sono poche certezze. Qualche giorno fa la proposta di un fondo arabo di acquistarne uno per 2,6 milioni. Un atto ritenuto utile a tenere in piedi un concordato che rischia di trasformarsi in un castello di sabbia.

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