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Ciao Paolo Isotta, eri il principe della critica: l'amore per la Valle d'Itria

Ciao Paolo Isotta, eri il principe della critica: l'amore per la Valle d'Itria

 
Michele De Feudis

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Michele De Feudis

Ciao Paolo Isotta, eri il principe della critica: l'amore per la Valle d'Itria

Musicista colto e raffinato, scrittore dallo stile brillante d'altri tempi

Sabato 13 Febbraio 2021, 09:47

Da Napoli a Milano, da Bayreuth a Salisburgo, fino a Bari e alla adorata Valle d’Itria: Paolo Isotta, artista a tutto tondo e scrittore dalla prosa raffinata, era la punta di diamante della critica musicale europea, espressione di una cultura originaria e anticonformista. Sembrava sbarcato nell’Italia del Novecento da un mondo classico senza tempo. È morto all’improvviso ieri nella sua amata Napoli, nella casa del Corso Vittorio Emanuele, luogo in cui accoglieva gli amici più cari per cenacoli che spaziavano dalla mitologia alla politica, passando per cinema, costume e tradizioni. Aveva settant’anni.

Era figlio di un Sud che custodiva nella sua borghesia un lignaggio antico: Paolo, Paolino per i più intimi, era il figlio diletto di un avvocato civilista, studente modello del liceo classico Umberto di Napoli, e poi delle facoltà di Giurisprudenza e Lettere dell’Università Federico II. Allievo di Vincenzo Vitale per il pianoforte e di Renato Parodi e Renato Dionisi per la composizione, iniziò a insegnare giovanissimo al Conservatorio Francesco Cilea di Reggio Calabria, per poi diventare ordinario a Torino e a Napoli. Il Conservatorio «San Pietro a Majella» di Napoli lo aveva insignito del titolo di «professore emerito».

Nel 1974 fu assunto da Indro Montanelli come critico musicale de Il Giornale e nel 1980 passò al Corriere della Sera: l’arrivo in via Solferino fu segnato dalla ignominiosa ostilità dei colleghi obnubilati da una ideologia partigiana, come raccontato con stile e distanza dal maestro Napoletano nel volume collettaneo C’eravamo tanto a(r)mati (Settecolori). Al Corriere ricoprì l’incarico di critico fino al 2015. Accanto al giornalismo non ha mai trascurato la scrittura, curando, insieme all’intellettuale Piero Buscaroli le collane Musica e Storia per Mondadori e La Musica per Rusconi. È stato anche presentatore su RaiTre della serie Grandi interpreti, dedicate al direttore d’orchestra rumeno Sergiu Celibidache. Con i sovrintendenti dei teatri aveva rapporti caratterizzati da franchezza e lealtà estrema, al punto da esprimere giudizi anche ruvidi su rappresentazioni e opere, ma non prima di averne ascoltato per ore prove ed esecuzioni. Politicamente era un fascista libertario, iscritto al Partito radicale.
Dopo il Corsera, firmava articoli musicali e recensioni per Libero e per il Fatto quotidiano, riproponendo i suoi scritti sulla rivista digitale Barbadillo. Negli ultimi anni aveva dato alle stampe, con Marsilio, in nome di una affinità elettiva che lo legava a Cesare De Michelis, saggi profondi come La virtù dell’elefante, Altri canti di Marte, Il canto degli animali, La dotta lira. Ovidio e la musica, Verdi a Parigi (2020) e l’ultimo San Totò (in uscita in questi giorni). Nel 2017 gli è stato attribuito il Premio Isaiah Berlin alla carriera, mentre la Puglia lo aveva insignito nello stesso anno con il Premio Paisiello a Taranto.


Amava la nostra regione, immancabile testimone dell’affermazione internazionale del Festival della Valle d’Itria, che viveva intensamente insieme ai luoghi della Puglia murgiana e adriatica, con una predilezione per Martina Franca e Ostuni.
Ne tratteggia con queste parole la dimensione artistica Pietrangelo Buttafuoco, scrittore e suo sodale nel Cattiverio: «Paolino? Va ricordato come Salvador Dalì o Carmelo Bene. Non abita in nessun album di figurine, ma solo nel pantheon di meravigliosi pazzi. Era un artista, ha incarnato l’arte viva, vissuta solo con se stesso». «L’Italia ufficiale non è in grado di capire uno come lui», chiosa con malinconia. Lo ricorda così Massimo Biscardi, sovrintendente del Teatro Petruzzelli di Bari: «Era il critico musicale più severo ma anche una guida dal punto di vista musicologico. Le scelte artistiche del teatro italiano devono a lui molto. È stato essenziale per la conoscenza in Italia di Richard Wagner, connessa al mondo ottocentesco italico. Quando ricercavo opere rare, neglette o mai messe in scena o dimenticate, gli inviavo la partitura per un suo giudizio. Come per l’Oediph di Enescu: solo dalla partitura riuscì a spiegarmi tutto il significato profondo di un’opera che venne in scena al Lirico di Cagliari». Il maestro salentino Francesco Libetta ne delinea la dimensione culturale: «L’Italia perde una preziosa coscienza della tradizione musicale. Un uomo di cultura classica (esattamente dannunziana: la cultura del Liceo Classico) che ha vissuto con bruciante coinvolgimento, tra disagio e generose illuminazioni, le trasformazioni della vita musicale nazionale alla fine del Novecento». Franco Chieco, decano dei giornalisti e dei critici musicali pugliesi, chiosa così: «Napoletano colto. È stato un punto di riferimento per la critica musicale italiana, uomo di cultura formidabile».

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