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Alberto Selvaggi
25 Gennaio 2021
Sai che cosa penso? Penso che uno guardando la tua faccia da Michele Salomone deduca che la disdetta sia foriera di opportunità. E quell’uno sono io.
«Diciamo che sono d’accordo, ma devi spiegarmi meglio che vuoi dire. Se quello che probabilmente penso io, se quello che pensano gli altri, o che non pensiamo né tu né io».
Mi riferisco a ciò che racconta la tua esistenza lunga finora 67 anni. Tu corri, per esempio, sei fra quei fanatici che ticchettano sull’asfalto stramazzando all’inseguimento di cadenze cardiache.
«No, aspe’, un momento, Alberto: che fanatico e fanatico. Io sono drogato proprio di running e tanto è vero a Gesù che capisco i drogati».
Io di più, Salomone.
«Vabbè, te lo dissi una volta, o no? No? Boh. Comunque, ehi, insomma, io alle 5.10 sto già sveglio, vedo RaiNews e tutte le sfilze di notizie. Caffè, yogurt e alle 5.45 sto già a Parco Due Giugno, Bari, la città dove abito da sempre, scarpette e pantaloncini. Faccio un po’ di corsa e un po’ di camminata veloce, 22 minuti e mezzo in un senso e 22 minuti e mezzo cronometrati nell’altro per riequilibrare le due gambe nei percorsi a ellissi: consiglio fornitomi dal preparatore atletico di Paolo Pinto, il fondista di nuoto buonanima. Stretching leggero e poi a casa, doccia e lavoro. Certi giorni mi dimeno un po’ nel letto, mi dico, no, stamattina non vado, e invece ci vado a correre. Sempre, ovunque mi trovi, pure quando viaggio, tanto che ho l’attrezzatura sempre pronta, alberghi prenotati in zone dove si sgambetta tranquilli. È una benedizione che mi viene effettivamente da una disgrazia, da un episodio per me brutto, sconcertante, mai chiarito».
La Provvidenza ti votò a esempio giornalistico.
«Può darsi, pure io ne sono convinto. Fumavo 50 sigarette al giorno diciott’anni e mezzo fa».
Io di più, Salomone.
«Eh, vedi? Brutta cosa. Ma una sera caddi in preda a una specie di collasso cerebrale, non sapevo più chi fossi, Albertino, non ricordavo più niente: chi sono che faccio dove abito dove lavoro da dove sono venuto per cui non appena…».
Piano, parli troppo veloce, da radiocronista, non riesco a seguirti, io sono rimba, e me ne vanto.
«Va bene, procediamo più tranquilli. Insomma, che stavo a dire?, ah, la mattina mia moglie Silvana che lavorava in uno studio radiologico mi fece fare tutti gli esami possibili e immaginabili, lastre, prelievi, sopra e sotto, non si capisce. E in questa occasione si rivelarono i miei valori sballati, con un bel 365 di colesterolo, soprattutto. Il medico il 27 giugno del 2002 mi prese sotto e mi consigliò di scansare i farmaci anche per problematiche tipiche di noi radiocronisti che, sempre seduti davanti al microfono, scarichiamo giù dall’addome la pressione sanguigna parlando a mitraglietta. Correre, fare sport era la medicina. Così il 28 giugno comprai il primo paio di scarpe da running. E il 29 completai il primo percorso con la lingua di fuori a uso di cane».
Quella stessa lingua incespicante che ti assegnò un posto da emarginato in panchina. Un’altra disgrazia destinata a tramutarti nell’icona biancorossa salomonica che sei.
«Ero balbuziente, un balbuziente che diceva c-c-ci-ao pure alla madre, che stava molto attenta a non far pesare niente. Un diverso schernito dai compagni della Carlo del Prete, della media Oreste del Prete, del Cesare Vivante: mi chiamavano “Salomone ‘u ca-cà”. Era terribile. Eppure ho sempre voluto essere libero. Così la Provvidenza, visto che la chiami così, e soprattutto Michele trasformarono l’handicap in una partita della vita. In un’epoca in cui per noi handicappati non ci stava pietà».
Sàlomon, continua.
«Nel novembre 1975 nasceva radio Bari Canale 100, con inaugurazione prevista nel febbraio ’76. In quegli anni per conoscere i risultati della serie C, nella quale competeva la Bari, si doveva aspettare il giornale radio delle 20. Perciò l’emittente ebbe l’idea di lanciare le radiocronache per la squadra cittadina. Organizzò nel vecchio Stadio della Vittoria, Curva Nord, una specie di casting. Durante una partita afferrai uno dei tre microfoni del registratore Nakamichi multitraccia, senza pensarci, anzi per ridere di me, e improvvisando la radiocronaca sentii che la lingua correva sciolta come un puledro. Cacchio. Albe’: non credevo a me stesso e alle mie orecchie. Pensai, sarà un caso; ma un caso non era».
Mi hai fulminato, per la miseria.
«I nastri vennero esaminati dal compianto Ignazio Schino della Rai. Dopo qualche giorno squillò il telefono a casa in via Carnia, quartiere Carrassi, e mi convocarono come prescelto radiocronista. Risposi: guardate che io sono balbuziente, tengo 22 anni, ho il problema. Che però svanì nuovamente appena mi rimisero il microfono davanti. Il 20 marzo 1976 avvertii mio padre: mi hanno preso per seguire il Bari, domani parto in trasferta. Lui gridò: Michele sei matto?! Gesù Cristo ti ha dato la disgrazia e tu vuoi fare ridere tutta la Puglia? Frase che dentro mi rimase. Arrivai in volo il 21 a Trapani, mezzogiorno circa. A casa avevo lasciato la radio sintonizzata su 100.500. Dio sa che faccia fecero ascoltandomi le mie sorelle Grazia e Nietta, mia madre Rosa, casalinga, e soprattutto papà Nicola, sarto».
Come nel film «Il discorso del re», con Colin Firth nei panni del re balbuziente Giorgio VI. Oggi sei la voce storica dei biancorossi su Radionorba, dirigi la redazione sportiva di Telenorba, sei direttore responsabile della testata online Bariseranews.it, hai superato i 40.000 seguaci su Facebook, spunti perfino nelle canzoni di rapper quali il Nano e Gotik, «U Baar nest».
«Il rapporto con i tifosi è di amore e di rispetto. Come centrocampista nella Valentino Mazzola del Centro sportivo italiano ero ciuccio ma frequento stadi da quando avevo sette anni, con mio padre. E continuo perfino nel pessimo San Nicola di Renzo Piano, astronave nella quale non riescono a vedere nulla manco le aquile dalla tribuna stampa. Quando per i quarant’anni di radiocronache pubblicai La mia voce in biancorosso per Adda editore di Bari gli ultras stesero per me un gigantesco striscione augurale sugli spalti. Per la duemillesima partita commentata è accaduto lo stesso a Trapani, dove tutto è incominciato. Ho avuto punti di riferimento come Enrico Ameri e Sandro Ciotti, grandi amici e estimatori come Nando Martellini».
Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo..!
«Lui, esatto, che ha dormito pure sul divano di casa da mia madre».
Poi Paolo Rossi, Gianni Morandi, quel tizio che pare più giovane di tuo figlio Niccolò, 26 anni, che studia e fa l’arbitro.
«Eh, quasi quasi. Per me, oltre che amico, resta il più grande cantante italiano. Mi cita sui social elencando i miei buoni consigli per il nuovo anno: mangiare la metà, muoversi il doppio, ridere il triplo e fare l’amore quando si può. Durante un concerto mi ha fatto arrossire salutandomi sui versi di Quant’è bello lu primm’ammore di Tony Santagata, che insieme per l’occasione avevamo rivisitato. Ho patito anche amarezze durante lo scontro con Eugenio Fascetti che vide i colleghi solidarizzare con l’allora tecnico del Bari, escluso Martellini che lasciò la sala stampa. Ma ho riso anche tanto. Ho gioito, sono stato premiato a Berlino nel 2015 in occasione del riconoscimento conseguito dal film Una meravigliosa stagione fallimentare. La vita mi ha sempre offerto l’opportunità per trasformare un danno in fortuna. Una “buona vita”, come auguro ai follower sui social. E ho poco da rimproverarle».
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