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Agata Scarafilo
05 Luglio 2020
CEGLIE MESSAPICA - Sembra fantascienza, un progetto uscito da un film: un sistema di traduzioni simultanee in grado di «parlare al cervello» attraverso la conduzione ossea. E invece è tutto vero e il cervello (è il caso di dire) di questa invenzione è quello di uno scienziato di origine pugliese di Ceglie Messapica, provincia di Brindisi, l’ingegnere Paride Papathanasiu. È l’ideatore della start up «Nimrod», un rivoluzionario sistema di traduzioni simultanee.
Anche durante il lockdown il giovane Paride Papathanasiu e Giuseppe Scabellone, membro del team, si sono resi protagonisti di un bel gesto di donazione, che ha anche permesso loro di sperimentare sul capo l’utilità di «Nimrod».
Durante la pandemia Covid, in Italia sono arrivati dei medici cubani, ai quali sono stati donati alcuni campioni di Nimrod, il dispositivo si è rivelato utile?
«In una situazione così delicata, abbiamo sentito il dovere di sostenere e distribuire una versione gratuita della nostra applicazione e donare parte della prima produzione al “Covid Hospital OGR” di Torino, dove operava una squadra di 50 medici cubani, con un solo interprete. Così, abbiamo potuto verificare, visti i costi legati agli interpreti e la fragilità della vita umana, come l’utilizzo della nostro progetto possa ritenersi risolutivo e davvero cruciale in molte situazioni similari».
Ritiene che il suo sistema di traduttore Nimrod potrebbe agevolare anche l’inclusione degli alunni stranieri nelle scuole?
«Sicuramente mettere a disposizione di un alunno, appena trasferitosi da un altro Stato, un sistema di traduzione come Nimrod, sarebbe di grande supporto soprattutto nella fase iniziale. Questo aspetto favorirebbe, infatti, l’integrazione dell’alunno in una realtà totalmente nuova e consentirebbe allo stesso tempo un apprendimento migliore e in tempi brevi. Infatti, si tratta di un sistema in grado di garantire ricezione, elaborazione e comprensione del messaggio facilitando le relazioni con il docente e con gli altri alunni. In questo modo, si instaurerebbe, sin da subito, un livello di parità tra coetanei che favorirebbe l’inclusione ed eviterebbe qualsiasi forma di discriminazione o isolamento».
Il razzismo scaturisce dalla non conoscenza, ritiene che Nimrod possa rimuovere qualche ostacolo anche in tal senso?
«Il concetto di paura del diverso, purtroppo, è radicato in ognuno di noi e questi atteggiamenti hanno anche a che fare con il modo in cui funziona la mente umana, che cerca sempre di difendersi da ciò che non conosce. Così, l’impossibilità di avere un ponte per la comunicazione rende il tutto ancora più complicato. Noi del team siamo sicuri che se due stranieri indossassero Nimrod, la facilità nella comunicazione rimuoverebbe diverse barriere e la diversità si trasformerebbe in una ricchezza da cui partire avvicinandosi all’altro con curiosità, interesse e spirito di confronto, anziché con quel pregiudizio che allontana».
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