Sabato 06 Settembre 2025 | 12:47

«L’isolamento? Nei Paesi in guerra. Noi a Bari sicuri con lezioni e tesi»

 
Michele de Feudis

Reporter:

Michele de Feudis

«L’isolamento? Nei Paesi in guerra. Noi a Bari sicuri con lezioni e tesi»

Solidarietà a Betlemme

Studenti e ricercatori rimasti a Valenzano. Il direttore Raeli: didattica assicurata anche tramite video

Lunedì 04 Maggio 2020, 18:51

BARI - Una quarantena insolita senza farsi congelare le esistenze dal Coronavirus, tra lezioni online, scritture di tesi, contatti digitali con le famiglie nei propri paesi d’origine nel Mediterraneo: sono state settimane atipiche quelle vissute dagli studenti stranieri del Ciheam, l’Istituto agronomico mediterraneo di Bari che forma le classi dirigenti agricole dei paesi del Mare nostrum. Algerini, marocchini, tunisini, palestinesi, tra gli altri, hanno rinsaldato una comunità intellettuale e studentesca con i docenti e i funzionari del centro di formazione post-universitaria girato da Maurizio Raeli. «In queste giornate abbiamo ricevuto mail, foto e attestai di solidarietà e vicinanza dai nostri ex studenti di tutto il mondo. Dalla Palestina ci hanno mandato la foto del presidio di solidarietà per l’Italia a Betlemme - racconta Raeli -. Sul piano dello studio, siamo stati un moderno laboratorio di didattica a distanza: sono proseguite le attività dei ragazzi dei master. In alcuni casi abbiamo anche consentito, in linea con il Dpcm, sperimentazioni secondo i protocolli stringenti, in spazi fisici didattici con i docenti».

Le restrizioni si sono sommate all’inizio del Ramadan: «Siamo stati vicini ai nostri studenti e ricercatori in giornate caratterizzate da solitudine e dall’adozione di misure rigorose per evitare la diffusione del contagio. Ma oltre alle restrizioni abbiamo anche rafforzato i legami umani con chat nelle quali non si parlava sono dil lavoro», racconta Raeli. Olimpia Antonelli, responsabile dell’ufficio didattica, aggiunge: «Sono rimasti a Bari, nel nostro Campus, quasi tutti i nostri studenti, una ottantina di ragazzi, provenienti da 12 paesi. Le comunità più numerose sono quella algerina, tunisina, palestinese e marocchina. Solo in sei sono rientrate nei paesi di origine: due studentesse turche e quattro libanesi. Abbiamo chiesto a tutti se preferivano rientrare in patria, i primi di marzo, quando c’erano ancora i voli: la maggior parte ha deciso di non partire, rimanendo in sicurezza da noi, proseguendo gli studi con lezioni riorganizzate in maniera digitale, con corsi a distanza».

«Abbiamo vissuto giornate sospese tra lezioni online e collegamenti via Skype con i genitori sull'altra sponda del Mediterraneo»: questa è la testimonianza di Fatma Abdelkefi, tunisina 25 anni, ingegnere che segue il master in agricoltura biologica. «Qui avevamo tutto, la mensa e le lezioni. Siamo grati al Ciheam e all’Italia. All’inizio i miei genitori erano preoccupati, ma ho fatto la scelta di proseguire qui gli studi, in un ambiente sicuro, con una atmosfera solidale». «All'inizio l’isolamento è stato duro, perché non potevamo vedere i nostri amici o uscire dal campus per il tempo libero»: Raouf Sadallah, 28 anni, algerino, al terzo anno di dottorato in protezione delle piante, non nasconde l’alienazione dei primi giorni di lockdown. «L’Istituto ci ha fornito mascherine e guanti, e dopo tre settimane abbiamo ripresa alcune abitudini rispettando tassativamente le prescrizioni. Tornare in Algeria? I miei genitori mi hanno chiesto di rimanere in Italia. Qui mi sento protetto e ho avuto modo di curare la scrittura della mia tesi». Ma nel Ciheam non c’è stata solo didattica: «Nel tempo libero ho ascoltato anche musica algerina, Soul King e Khaled, e visto film del mio paese…», chiosa ancora lo studente.

«A Betlemme i miei connazionali hanno esposto bandiere italiane davanti alla chiesa per mostrare solidarietà con l’Italia colpita dal Coronavirus»: Arafat Hanani, palestinese, 27, Nablus in Cisgiordania, dottorando in ambiente e agricoltura, invita a non drammatizzare le condizioni vissute in queste settimane. «La vera quarantena è quella dei palestinesi nella Cisgiordania che devono conformarsi normalmente per i conflitti esistenti a tante limitazioni o posti di blocco - spiega -. Qui ho potuto seguire le lezioni, e mantenere i contatti via web con i miei in Palestina». Arafat poi conclude una curiosità: «In queste giornate ho potuto fare un po’ di sport individuale e ho imparato perfino a suonare il pianoforte. Sono grato all’Italia, paese dove spero di completare la mia formazione con stage professionalizzanti. Il mio cuore batte per l’Italia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)