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Mille costruzioni e tante demolizioni

 
Michele Mirabella

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Michele Mirabella

Mille costruzioni e tante demolizioni

La Storia e l’edilizia monumentale, quella che cambia in base alle ere anche a causa delle speculazioni

Domenica 09 Febbraio 2025, 15:00

La Storia sembra, talora, compiacersi della sua complessità. Esige di farsi studiare arieggiando la biblioteca e guardando il tempo, altrettanto complesso, il tempo degli uomini, sotto le finestre. E solo così, i libri la possono, poi, raccontare. Scacciato dall’Eden delle certezze, fatto il passo fatidico nel mondo della fatica e del tempo effimero, l’uomo constata che la sua vicenda si fa complessa.

Ma la complessità si articola e propone, affascinante, nella completezza del mondo, i suoi modi di essere, le sue categorie, le azioni di chi lo abita. E questi abitano anche case e le case sono state diverse e si sono modificate, sono cresciute, si sono dilatate, si sono assiepate ordinatamente in villaggi e città e metropoli. Anche le case hanno la loro storia. Dalla faticata e deludente torre babelica in poi. Fino alle «Due Torri» dell’inimicizia, distrutte dall’odio idiota.

L’edilizia monumentale siamo abituati a metterla nel conto delle statistiche e della catalogazione, ma anche nel racconto dei fasti e dei nefasti dell’umanità compitamente reso dai libri delle elementari in poi, ma con la più utile e servizievole edilizia abitativa le cose si fanno più semplici e il resoconto più asciutto.

Tuttavia è assai interessante raccontare la complessità della Storia anche affondando le mani nella creta, ammirando l’opus paziente dei muratori latini e greci, scalpellando informazioni sui marmi superstiti nelle calcificazioni di Barbari e Barberini, intingendo la penna nei roghi, calcestruzzo o nel cemento armato.

Delle sette meraviglie del mondo pare che siano sopravvissute solo le Piramidi e la gente ha visto crollare case e monumenti, templi, chiese, obelischi, castelli e fortezze. Si fondò in noi, sin dai tempi delle scuole, la convinzione che con le illusioni di eternità dei superbi allievi di Prometeo, crollassero pure le loro altezzose opere architettoniche e l’edilizia connessa alle epoche che si sono avvicendate in quella sbrigativa e schematica periodizzazione che ci è stata insegnata. Atri muscosi e fori cadenti, ruine e ruderi sembra che si siano assunti il compito narrativo e lievemente moralistico di ammonirci sulla caducità delle fortune umane.

La bellezza dei monumenti, talora, è stata scoperta o decisa a cose fatte, a crollo o combustione avvenuti. È il caso della Bastiglia la cui «presa» sancì l’inizio della Rivoluzione. Sul momento, non se ne accorse nessuno: la sparuta guarnigione, già afflitta da una devastante diarrea, marcò visita e si diede alla macchia. Il Re Luigi scrisse nel suo diario, alla data del 14 luglio, una sola parola: rien. Niente, non era avvenuto niente.

Le Tuileries furono incendiate dalla Comune di Parigi che, pure, era stata animata da belle teste che non potevano disconoscere la Storia e suoi valori che comprendono le prodezze dell’architettura. Non solo quelle delle cattedrali, anche quella dei palazzi. Come il Palazzo d’Inverno o l’Hermitage, salvi per miracolo. Spesso nessuno si è accorto che venivano demoliti edifici magnifici, prove inconfutabili dell’arte umana, per far spazio ad orrori. Le dittature, soprattutto, hanno la fissazione di immortalarsi nell’architettura: lo fecero Hitler, Mussolini, Stalin. Dev’essere un buio complesso di paura di non durare e la voglia di esorcizzarla sfruttando gli sforzi servili ci certi architetti. Certe democrazie, qualche volta incompiute o fragili, lasciano che la gente faccia da sé. In genere il risultato non è un granché.

Per gli Italiani, la devastazione dell’ambiente discende, come tutti sanno, dall’inopia dei poteri o dalla collusione di questi con la speculazione e dal preponderare dell’avidità privata. Nel nostro piccolo barese, nell’elenco delle devastazioni edilizie e forsennate realizzate con successo, basti ricordare la frenesia costruttiva bel Borgo Murattiano degli anni ‘50, ‘60, ‘70, ‘80. (Continuo?) che contemplò, tra l’altro, la demolizione orrenda del Palazzo della «Gazzetta del Mezzogiorno». Cosa studieranno i nostri nipoti nei libri di Storia? Segnaleranno questi anni come quelli della speculazione edilizia ai danni della Bellezza?

Il 2 Aprile 2006 iniziò la demolizione dei palazzoni detti «Punta Perotti». La data passerà alla Storia? Forse. Ma spero che nessuno la consideri una festa. È solo che ha vinto la Legge e ha prevalso la buona politica. Il buon senso fece il resto. Festa sarà solo se quel crollo avvierà, finalmente, demolizioni edilizie e metaforiche. Dagli arroganti silos sul porto, altra cupa saracinesca sul mare, alla rassegnazione all’impotenza di compiere il sogno degli antenati che avevano vaticinato: un «corso» verde e sgombro di invasori fittili e caos a venire di automobili che fu dedicato ad un uomo, Camillo Benso Conte di Cavour, uno di quelli che sanno evitare di sminuzzare la Storia in una sequela di fatti casuali senza una ragione che la determini e la spieghi, senza uno spirito che respiri nel tempo. Che è complesso. A Bari la sua memoria guadagnò la dizione dialettale barese che recita Corso Càvur. Dove si trova il Teatro Petruzzelli. Restituito alla Storia.

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