Tempo fa, partito in crociera nell’Arcipelago delle isole greche, portai con me due libri: la “Teogonia” di Esiodo e l’”Odissea”, due libri in consunte edizioni scolastiche. Durante un notturno di salsedine e brezza profumata, nell’Egeo, mi venne in mente di pretendere di leggere a voce alta parole e versi in un Greco traballante e scolastico, giocando, sotto sotto, col sogno di farmi ascoltare dalle misteriose Oceanine che, mi auguravo, sarebbero emerse dai loro giochi divini con tritoni e sirene per riconoscermi amico, anche se nuoto malissimo, come un cane frettoloso. Ma, in verità, mi sarei accontentato della curiosità di una donna bellissima che nuotava con armoniosa perizia nella piscina della nave e mostrava di non accorgersi della plebiscitaria ammirazione dei croceristi.
Non emerse nulla, neanche una sirena, ma arrivarono solo robusti schizzi di schiuma salata. Rischiai il ricovero nell’infermeria della nave e fui guardato con attenta curiosità e un po’ di diffidenza da tutti passeggeri fino allo sbarco a Santorini. Tra le pagine dei due libri che, adesso, ho riposto nello scaffale della mia biblioteca è rimasto il sale di quella brina volatile che si alza fino ai ponti più alti quando il mare è vivace.
Amo i libri e ne ho moltissimi, al punto che hanno invaso tutte le pareti di casa, e non solo le pareti. Il mio amico Massimo Troisi, agli esordi della nostra amicizia, venne a trovarmi, un pomeriggio, e, mentre combattevo con la macchinetta del caffè, lui voleva la napoletana, capii che bighellonava con il naso in su, scrutando tutti i libri. Quando tornai con le tazzine fumanti, mi chiese: “Ma li hai letti tutti?”, con curiosità ansiosa. Mi venne da sorridere e, quasi scusandomi, gli dissi che no, tra tutti quei libri ce ne erano molti solo da consultare e che altri li avrei letti o riletti e qualcuno non l’avrei mai letto, per mancanza di tempo.
Massimo fece “capuzziella”, tentennò, cioè, e convenne: “Embé certo, quelli sono assai e tu sei solo”. Massimo ed io sorbimmo il caffè occhieggiando le copertine.
L’avrebbero vinta loro, dunque, i libri e sarebbero rimasti nei miei scaffali. Comunque, meglio che stiano lì, pensai. Ma i libri vanno letti. Qualcuno, nel prossimo millennio, forse li regalerà a una più grande biblioteca, magari comunale e, finalmente vincerà il lettore. Sempre se esisteranno ancora le biblioteche comunali e provinciali e nazionali, perché, se così sarà, qualcuno andrà a riprendere i miei Esiodo e Odissea e potrà notare, raggrumato sui versi, un lontano afrore di salsedine custodito da quelle pagine. Altrimenti sarà muta la memoria: se uno un libro l’ha letto, è suo per sempre e se uno un libro ce l’ha, o sa dove trovarlo, prima o poi lo legge.
Platone scrive che i libri avrebbero potuto insidiare la memoria dell’uomo, esonerandolo dall’esercitarsi per ricordare, ma, per raccontare questo paradosso, scrive un libro. E, se andate in biblioteca, lo trovate. Mi domando cosa penserebbe Platone della cosiddetta “intelligenza artificiale”:
La memoria collettiva oggi è minacciata dal cattivo uso della suddetta e dalla sciagurata insipienza dello Stato e delle istituzioni verso le biblioteche che rischiano di chiudere e di veder marcire il giacimento del sapere. Ho ricevuto un messaggio che così dice: “Un paese senza biblioteche efficienti è un paese senza memoria e senza prospettive. Per ogni biblioteca che chiude, si restringono gli spazi di democrazia e di libertà.
Uno Stato che impigrisce, con la scusante malintesa dell’avvento di nuove prodigiose tecnologie che potranno sostituire il libro stampato e cincischia sui problemi delle biblioteche e della cultura, riducendo la richiesta di dare vita a un dibattito pubblico sul loro ruolo e sulla loro crisi a un problema di burocrazia polverosa è uno Stato che tradisce l’interesse pubblico. Ogni tanto faranno un convegno sonnacchioso dove gli uditori si sveglieranno solo quando si arrivi a parlare di “intelligenza artificiale”.
Lei legge tutto senza mai emozionarsi. Ma noi la deleghiamo a capire il mondo.
Mnemosine, la musa della memoria, va su tutte le furie quando vede distruggere le testimonianze del passato, della Storia, del cammino dell’umanità. Io credo già si indigni quando ci vede trattare il nostro computer come le antiche tavolette di cera, raschiando per riscrivere e decidendo di dimenticare immagini inutili, appunti invecchiati ed indirizzi scaduti, gettando nel cestino parte della nostra memoria elettronica per mettere ordine tra i ricordi sulla scrivania. Figurarsi se non sobbalza e non invoca le saette di Apollo contro di noi tutte le volte che vede chiudere una biblioteca o, addirittura, bruciarla come successe ad Alessandria per colpevole incuria della soldataglia romana che cominciò una devastazione piromane di lunga durata. Correva l’anno 48 a.C.: pare che Giulio Cesare, allora, si sia infuriato. I Cesari di oggi forniscono i fiammiferi dell’ignoranza e dell’indolenza e un pingue finanziamento per distribuire gratuitamente telefonini alla plebe, nonché tanta intelligenza artificiale. La stupidità è quella naturale. Apollo, ti prego, scocca le tue frecce.