LECCE - Nel carcere di Astana Amina Milo piange e spera. Da quasi quattro mesi è rinchiusa in una cella con l’accusa di traffico internazionale di stupefacenti. Secondo la versione dei legali e dei genitori, senza prova alcuna: non un grammo di droga, niente le è stato trovato addosso nella perquisizione che, per l’amico con cui passeggiava nella capitale kazaka, è invece risultata positiva. Né alcuna traccia di droga è emersa dagli esami tossicologici effettuati sulla ragazza.
Era partita con la madre da Lequile, dove vive dall’età di otto anni, per trovare la nonna in Kazakistan: lì è finita in una spirale kafkiana che la costringe ora in carcere. Mangia e beve solo ciò che le porta la madre, da settimane, ogni mattina, in piedi alle prime luci del giorno e poi in coda, con gli altri genitori dei detenuti, per portare alla figlia generi alimentari e beni di prima necessità. Nel carcere kazako l’acqua è rossa e il cibo scadente. Ogni movimento avviene sotto gli occhi elettronici del circuito di videosorveglianza interno, esteso - per mezzo busto - sino al bagno. Lì dove è possibile fare la doccia una sola volta a settimana e per massimo cinque minuti...
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