LECCE - L’Osapp scrive al Presidente della Repubblica per segnalare le dure condizioni di lavoro a cui sono costretti gli agenti della polizia penitenziaria. Una lettera al Capo dello Stato Sergio Mattarella è stata inviata in questi giorni dal segretario regionale del sindacato degli agenti, Ruggero Damato, con l’elenco delle criticità che i poliziotti sono costretti ad affrontare quotidianamente.
Nel carcere di Lecce, insieme alle continue aggressioni agli agenti, finiti in passato in ospedale per varie fratture, le lamentele riguardano il sovraffollamento dei detenuti (oltre 1200 su una capienza di 800) e la carenza di organico di poliziotti, ridotti a meno della metà. Secondo un inciso della stessa segreteria, si sarebbe verificata anche una situazione limite, con un solo agente chiamato alla sorveglianza di 400 detenuti in un turno di 12 ore continue.
«Quello che sta accadendo da circa dieci anni a questa parte - ha scritto Damato - non è più concepibile in un Paese che si definisce civile, quello che accade sovente nei penitenziari pugliesi rimane nella totale indifferenza dei vertici dell’Amministrazione penitenziaria e della politica. Per quanto tempo ancora dobbiamo gridare? Per quanto tempo ancora dobbiamo rivendicare i nostri diritti? Chi ridarà mai dignità al Corpo della polizia penitenziaria fatto da donne e uomini che vengono osannati solo nelle solite occasioni di circostanza?».
Damato nella lunga missiva ricorda alcuni episodi che hanno visto gli agenti a un passo dal soccombere davanti alle rivolte dei detenuti. «Venne scongiurato il peggio solo grazie all’intervento di quei pochi uomini in servizio (con un numero irrisorio di colleghi, compresa la sorveglianza generale), costretti a doppi turni, a servizi massacranti senza usufruire per diverse settimane del riposo settimanale e del congedo estivo, sfregiati nel corpo e nell’anima».
Da qui l’appello al Presidente. «Vogliamo sapere tramite la vostra figura autorevole di Capo del Consiglio superiore della magistratura e delle forze armate e di polizia - chiede Damato - chi si prende cura di noi rinchiusi in quattro mura in virtù di un giuramento? Chi si sarebbe preso cura dei nostri familiari se non avessimo più retto? Se fossimo state vittime del dovere? Signor Presidente - si legge nella parte finale della lettera - Le chiedo, anzi La supplico, ci aiuti perché non siamo più in grado di sopportare questo peso della gestione delle carceri pugliesi in queste condizioni. I colleghi pur di andare via in quiescenza, sono disposti a farlo perdendo una buona fetta della pensione non raggiungendo oltre il limite contributivo anche quello anagrafico, avendo profonde ferite insanabili nell’anima e nel corpo, in quanto considerati “manovalanza a basso costo”».