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«Ho sequestrato mio figlio per non morire di botte», dal Salento storia di una 44enne prigioniera di un violento

 
Fabiana Pacella

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Fabiana Pacella

Bari, abusa di una prostituta dopo averla segregata in un garage: arrestato 41enne

La donna è stata presa in carico dal centro Renata Fonte dopo una sequela di episodi traumatici

Martedì 04 Maggio 2021, 08:51

«Oggi sono una ragazza che si depila, che ha preso peso, tinge i capelli». Sorride, 44 anni, un fiume in piena senza mai toni cupi nell’eloquio. Per lei venerdì, potrebbe cambiare radicalmente tutto. Per l’ennesima volta.
Sarà processata per sequestro e sottrazione di minore, sono stati chiesti due anni e mezzo ed è pronta a scontare anche quella pena, pur di essere libera. Non è un ossimoro, badate bene. Ma la sintesi di dieci lunghi anni di violenze su di lei e sul figlio. Un peso troppo grande per lei, al punto da fare fagotto, prendere il bambino e scappare. «Non ti dirò mai dove mi sono nascosta quei sette mesi».

Ce ne sarebbe di materiale per una pellicola a fiato corto. Nessuna fantasia però, tutto vero dall’inizio alla fine. Proveremo a fare ordine nella storia di Melania (nome di fantasia, ndr.) e del suo bambino «che oggi ha 14 anni ed è alto un metro e 76». Una storia iniziata in Sicilia, approdata a Roma e finita a Lecce. L’inizio è simile a tanti. «Gli episodi che s’innescano quando una donna decide di stare con un uomo violento - premette - non vengono percepiti come tali perché ha già vissuto prima in contesti di violenze inconsapevoli. Sono una figlia non voluta, mia madre mi tenne solo per far contento nonno. Da quando sono nata ho passato anni a casa dei nonni poi, quando mia madre ha scoperto che chiamavo mamma la nonna, mi ha portato con sé ma abbiamo sempre avuto un rapporto difficile».

Passo numero due, l’incontro di Melania col marito. «Lo conobbi su internet, poi venne a trovarmi al lavoro, in tre mesi ci sposammo. Era il principe azzurro, poi i primi segnali». Quell’uomo le chiese di lasciare il lavoro: «se non fai come ti dico io faccio annullare il matrimonio».
Da lì in poi, la realtà. Appena la ragazza rimase incinta: «Se è femmina devi abortire, se non è sano devi abortire, deve essere maschio e sano. Altrimenti ammazzo te e la bambina».

Poi i pestaggi. «Non riuscivo ad abbassarmi col pancione, appoggiai un piede sulla poltrona per allacciarmi la scarpa e mi tirò uno schiaffo perché avevo mancato di rispetto ai suoi soldi, quelli con cui aveva comprato la poltrona». Un climax: offese-minacce-botte-violenza sessuale. «Mi portava altri uomini e donne in casa, anche quando ero incinta. Bendava tutti, me compresa. Lui faceva sesso in un’altra stanza e io dovevo stare con quegli sconosciuti o avrebbe ucciso me e il bambino».
Si ferma, non riesce a parlare Melania. «Ancora oggi, ovunque mi trovi, sento degli odori e ricordo quelle cose, quei corpi addosso e le botte che prendevo da una parte e dall’altra quando accennavo una ribellione». Sempre più sola e lontana dai genitori. «Sai una cosa? - sottolinea con fermezza - Ci siamo trasferiti in una villetta, all’ottavo mese di gravidanza ero magra e piena di lividi. I vicini era come se non esistessero eppure non credo che non abbiano mai sentito nulla».

In una foto Melania è con il figlio di due settimane: «avevo una mano gonfia e l’occhio pesto. Mi scattò lui quella foto e me la girò sul cellulare perché me ne ricordassi».
Unico periodo di tranquillità quando l’ex chiese soldi ai suoceri, la prima volta 15mila euro fino a 50mila spariti in breve nel nulla. E di nuovo botte. «Mi feci coraggio e chiesi la separazione, chiudevo mio figlio in una stanza con la musica a palla per non fargli sentire le violenze. Il mio ex arrivò a m minacciarmi con una pistola. Mio padre mi mandò da un avvocato che mi invitava a non sporgere querela perché c’era possibilità che mi togliessero il figlio. Ero terrorizzata».
Dolore fisico e ricatti morali. «Il giudice della separazione decise che dovessimo avere affidamento condiviso, intanto mio figlio aveva problemi, faceva disegni col nero e non mangiava. Al neuropsichiatra raccontò che quando era dal padre papà ballava nudo sul letto con un amico e lui veniva picchiato». Da lì l’ennesimo dramma. «Abbiamo conosciuto 22 tra psicologi, neuropsichiatri, servizi sociali, ho sporto denuncia per abuso sessuale sul bambino. Mio figlio è stato sottoposto ad uno strazio, il processo ancora peggio: archiviazione perché il bimbo non poteva essere ascoltato in quelle condizioni».

Melania rischiò di perdere il figlio. «Nel 2016 mi fu tolta la responsabilità genitoriale, avrei visto mio figlio solo col consenso del padre. Eppure dalla perizia io risultavo normale e lui narcisista patologico, ossessivo compulsivo e paranoide. A quel punto ho rapito mio figlio e sono fuggita. Mi sono consegnata solo quando quella sentenza assurda è stata annullata».
Il bimbo finì in casa famiglia, poi lo sciopero della fame e della sete di Melania, l’ha portata a conoscere una rete di protezione forte e solida, Reama di Pangea Onlus. «Mi sono ritrovata a Roma con questa gente straordinaria, e proprio lì una donna sconosciuta mi ha stretto la mano è mi ha detto: insieme ce la faremo. Era Maria Luisa del Renata Fonte di Lecce. Lei, loro, mi hanno salvato».
Oggi Melania ha i capelli lunghi, è una oss, dipinge, studia psicologia e ha trovato l’amore. Solo di un particolare non parla…del figlio che non ha mai dato alla luce a causa delle botte.

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