Colonnello Gabriele Ventura, sappiamo che il Ros si occupa di criminalità organizzata, terrorismo ed eversione. Come mai si è ricorso al vostro impiego in questa vicenda?
«Il Ros si occupa principalmente dei reati di competenza della Dda. Ma ha anche un’alta specializzazione nelle indagini tecniche e telematiche, fornendo supporto all’Arma territoriale nel caso in cui ci venga richiesto. In questo caso, vista la particolare efferatezza del delitto, abbiamo dato il nostro contributo. Nello specifico, abbiamo potuto contare sulla collaborazione dei colleghi del reparto di indagini telematiche del Ros di Roma. Così è stato possibile effettuare una serie di attività tecniche che hanno poi portato al risultato finale».
Quali sono gli elementi chiave che vi hanno portato all’identificazione dell’assassino?
«Dopo le prime testimonianze sono emersi una serie di particolari descrittivi. Un testimone oculare ci ha fornito le fattezze fisiche del killer, che si è allontanato solo pochi minuti prima dell’arrivo della pattuglia. Da una prima mappatura delle telecamere della zona siamo riusciti poi a costruire una parte del percorso che ha effettuato. Poi c’è stato il sopralluogo, dal quale è emerso inequivocabilmente che l’assassino ha colto le vittime di sorpresa. La serratura dell’appartamento non era forzata, e a quel punto l’unica spiegazione plausibile era che l’autore del delitto avesse le chiavi. Da lì poi è iniziata l’attività di analisi sui telefoni e sono venuti fuori una serie di riferimenti. Scorrendo la chat fra Daniele e De Marco è emerso il riferimento ad una fermata dell’autobus, la stessa che veniva indicata anche nella mappa disegnata sui foglietti persi dal killer nel cortile condominiale. Esaminando i profili social, poi, è stata notata una certa somiglianza fra il 21enne e il soggetto immortalato dalle telecamere. Ulteriori elementi ci hanno poi permesso di chiudere il cerchio. È stato un impegno corale, da parte nostra e dei colleghi del comando provinciale, sotto l’eccellente coordinamento di quattro magistrati della Procura».
All’inizio tutti sembravano seguire la pista di Andrea…
«In un primo momento quel nome ci ha portato fuori strada. Abbiamo vissuto un periodo di tensione, anche perché la pressione mediatica è stata enorme. Ma tutti noi, così come la Procura, abbiamo dovuto mantenere la massime riservatezza per non compromettere le indagini».
Lei ha partecipato all’interrogatorio di Andrea De Marco. Che impressione le ha fatto?
«Noi siamo stati presi dall’euforia di aver individuato il responsabile in pochi giorni, ma una volta davanti a lui ci ha assalito una profonda tristezza. Tutti ci aspettavamo una persona meritevole di odio, e invece abbiamo provato solo una grande pena. Al nostro cospetto avevamo un ragazzo che prima di perdersi in questa follia forse avrebbe potuto essere aiutato. Aveva tutte le carte in regola per andare avanti nella vita: diplomato con un buon voto, studente all’università, lavorava ed aiutava gli altri. Ma era completamente isolato, senza amici. È stato disarmante, un dramma nel dramma».