BARI - Da ieri mattina la Consulta è in camera di consiglio per decidere sui quattro ricorsi contro la legge Calderoli sull’Autonomia differenziata. Puglia, Campania, Sardegna e Toscana hanno mosso circa 50 rilievi di costituzionalità alle norme approvate a giugno, difese invece da Palazzo Chigi e dal blocco composto da Lombardia, Veneto e Piemonte che ne hanno già chiesto l’applicazione sulle prime nove materie. Se saltasse anche un pezzettino della legge, tutto potrebbe essere rimesso in discussione.
La sentenza con le motivazioni sarà depositata prima di metà dicembre, in tempo per lo scrutinio sull’ammissibilità dei referendum abrogativi. Ma il dispositivo della decisione, atteso già per ieri sera, arriverà con tempi molto più rapidi come spesso è stato fatto - spiega chi segue abitualmente il palazzo della Consulta - quando sono in gioco questioni di ampio interesse. «La legge Calderoli può spaccare l’Italia», è la tesi sostenuta nel ricorso che la Puglia (con il professor Massimo Luciani e l’avvocato Rossana Lanza) ha fatto notificare a tutte le altre Regioni. La Puglia ha impugnato la legge Calderoli con 12 motivi, chiedendo in subordine alla Consulta di sollevare davanti a se stessa il dubbio di legittimità costituzionale dell’articolo 116, modificato nel 2001 nell’ambito della riforma del Titolo V: se i giudici delle leggi riterranno possibile devolvere alle Regioni la competenza su intere materie o gruppi di materie così come previsto dalla legge Calderoli - è la tesi pugliese - allora è la riforma costituzionale del 2001 a mettere a rischio l’unità del Paese.
Sono temi delicatissimi su cui si gioca anche la tenuta della maggioranza che sostiene il governo Meloni, essendo l’Autonomia il cavallo di battaglia della Lega. Ma un accoglimento - anche minimo - dei ricorsi farebbe con ogni probabilità decadere le richieste di referendum abrogativo, una consultazione popolare che rischia di trasformarsi in una sfida del Nord (favorevole alla devolution) contro il Sud (che la ritiene uno scippo di risorse). Una diaspora che non farebbe bene a partiti di popolo come Fratelli d’Italia, né a Forza Italia che mantiene al Sud il suo ultimo baluardo di voti.
Non è un caso se a fare apertamente il tifo per l’Autonomia c’è la Lega. Ieri ne ha parlato il governatore del Veneto, Luca Zaia, secondo cui «è un solido pilastro del programma di Governo»: «L’autonomia non è una questione di destra o sinistra, di Nord o Sud, ma una è una questione di buon senso che può essere il volano del futuro per il nostro Paese, tutto il Paese, perché non interferisce con l’unità nazionale».
Zaia ha confermato che Lombardia, Veneto e Piemonte stanno andando spedite sull’attuazione della delega per le prime nove materie, quelle che non necessitano della determinazione dei Lep (i livelli essenziali di prestazione): «Nell’ultimo incontro al ministero (lunedì, ndr) siamo entrati nel vivo discutendo la delega della Protezione Civile alle Regioni, una riforma che punta a migliorare l’efficienza e l’efficacia delle risposte alle emergenze territoriali, coinvolgendo più direttamente le autorità regionali. Il tavolo delle trattative sulle funzioni attribuibili, ormai, è una realtà. Per il momento si sta procedendo con il discutere le prime 9 materie, tra alcuni mesi dovremmo avere a disposizione un insieme di altre 14 materie, quelle lep. Vedremo di portare avanti il lavoro insieme alle altre Regioni interessate, con le quali c’è una comunanza di visione. La strada è segnata e si va avanti». A meno che, appunto, non arrivi uno stop della Consulta.