Goffredo Bettini, dirigente nazionale del Pd, il caso Bari - con la rottura dei 5S sulle primarie - corre il rischio di vanificare il lavoro della segreteria Pd per costruire un fronte largo di alternativa al governo Meloni. Eppure questo modello, a partire dalla Sardegna, ha funzionato. La crisi tra le due forze politiche come si può superare, a partire dal caso pugliese?
«Sono da anni fautore di un dialogo e di un’alleanza tra Pd e 5Stelle. È una necessità, perché altrimenti i progressisti non vinceranno più. Ed è un’occasione, perché ognuno può prendere qualcosa di buono dall’altro. La Schlein si è mossa in questa direzione. Con coraggio e generosità, perché nel Pd non tutti la pensano così. Capisco che in certi momenti difficili, come quello attuale, ogni partito voglia far valere le proprie ragioni. Ma non va superata una soglia; l’attacco al Pd ha colpito un’intera comunità. Poi è difficile rimettere assieme i cocci, se la rottura tocca nel profondo i rispettivi elettorati».
Il terreno comune tra Conte e Schlein è quello delle battaglie condivise, lo scoglio è la competizione per Bruxelles?
«Sulle battaglie condivise occorre andare avanti. C’è uno spazio grande per battere la destra attorno alla Meloni, che è divisa e ha svolto male il suo ruolo di governo. Nella competizione proporzionale europea è naturale sottolineare il proprio profilo autonomo. Senza, tuttavia, mancare di rispetto ai possibili alleati futuri. Altrimenti si scassa tutto».
Un terzo nome, tra i due duellanti baresi, Vito Leccese e Michele Laforgia, è auspicato da tanti. Un profilo legalitario alla Gianrico Carofiglio è quello da ricercare?
«Credo di essere stato il primo a proporre l’azzeramento e la ricerca di un terzo nome unitario. Sarebbe un segnale nazionale di enorme valore. Prendere atto dello stallo e rilanciare unitariamente. Carofiglio? Magari. È un fuoriclasse. Ci sono, comunque, altre personalità capaci e di garanzia democratica».
Conte ha comunicato con una breve telefonata a Elly Schlein il suo dietrofront dalle primarie baresi, dopo una discussione di coalizione durata sei mesi. C’è un tema anche di forme della politica e del dialogo?
«Non so precisamente come siano andate le cose. Conte è apparso improvviso e unilaterale nel dichiarare la sua contrarietà alle primarie. Detto questo: è un uomo che ha guidato con equilibrio e saggezza con noi un governo nazionale in anni difficili. Spero in un’inversione immediata di rotta. Il dialogo? Ci deve essere calcolo e abilità, ma anche slancio, empatia, generosità, fiducia tra i leader. Il fattore umano conta più della convergenza o meno su un punto di programma. Lo dico sulla base della mia lunga esperienza».
Elly Schlein nel comizio di Bari ha lasciato sotto il palco Emiliano e Decaro, e ha chiuso al trasformismo (qui molto discusso). La polemica contro i cacicchi meridionali…
«I cacicchi non stanno solo nel Mezzogiorno. Non amo personalizzare. È l’intera forma-partito del Pd che va rivoltata come un calzino. E questo non significa una caccia ai singoli, ma la volontà, da parte di un gruppo dirigente autorevole e plurale, di riformare il partito».
Decaro sarà candidato di punta alle Europee. Il volto dei sindaci e del governo democratico delle città quanto peserà in questo snodo decisivo?
«Decaro è stato un grande sindaco. Non viene dalla mia tradizione e, tuttavia, lo considero un pezzo pregiato del Pd del futuro, che si deve fondare anche su una nuova generazione di sindaci. Gente che ha saputo attraversare il popolo di oggi; così frammentato, volubile, spaesato. Ottenendo risultati e consensi veri. Alle europee i sindaci peseranno. E ce ne sono tanti. Ricci, Nardella, Gori e, appunto, Decaro».
In Puglia si incrociano vicende politiche, rese elettriche dal voto europeo con il proporzionale, e casi giudiziaria. L’indagine sull’assessore dem Anita Maurodinoia e l’arresto del marito sono le più eclatanti. A Torino altre fibrillazioni. Può essere utile rileggere la riflessione di Enrico Berlinguer sulla questione morale, un tema così centrale per la comunità postcomunista nei nostri giorni?
«Distinguiamo. Ci sono ipotesi di reato di cui si deve occupare la magistratura. Poi, c’è una questione morale che snatura i partiti e li rende opachi. Questa va affrontata con una forte direzione politica, non sparando nel mucchio. Come? Nel 2011 scrissi un libro, "Oltre i partiti”, dove ci sono pagine tremende anche sulla condizione del Pd.
In questi anni non si è fatto nulla. Sottolineo nulla. La condizione di una risalita sta nella costruzione di un gruppo dirigente nazionale, promosso non grazie alle catene di comando che manovra ma per le sue qualità e per il suo peso nella società italiana. Insieme a ciò, andrebbero attivati i referendum previsti dallo statuto; confronti, conclusi da decisioni, nei quali si mescolino sui vari temi, e in modo sempre diverso, gli iscritti, la nostra vera ricchezza e capacità di tenuta. Così la rigidità delle correnti si può sciogliere. Altrimenti si va verso schematismi furbeschi. Giovani contro vecchi. Istituzioni contro partito. Plebiscitarismi che solitariamente tagliano anche le teste buone. Mi è capitato di assistere nel Pd a metodi allarmanti: distribuzione degli incarichi più importanti nelle assemblee elettive a seconda delle preferenze prese. Allora certo che si rischia che qualche mela marcia si metta a comprare voti».
Anche il pensatore barese Franco Cassano si era soffermato sui rischi di una sorta di narcisismo etico a sinistra nella “Banalità del male”. Una rilettura obbligata in questa fase?
«Cassano va sempre letto e riletto. Il suo “pensiero meridiano” è un inno all’ascolto, al senso del limite della nostra cultura, all’accoglienza in Occidente della ricchezza di tutte le altre civiltà».
Bettini, lei è un antico dirigente della sinistra, che rapporto ha avuto con la Puglia nel suo percorso politico?
«Intanto di amore per questa terra. La bellezza delle città, il cibo, il mare. La parte adriatica la amo particolarmente. Si apre a terre lontane e al profumo dell’est. Non è un mare domestico come il Tirreno. E poi, la Puglia ha prodotto dirigenti e pensiero. Di Vittorio, Reichlin, D’Alema, Vendola e una scuola di filosofi sulla quale mi sono formato».