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«Decentrare rende più efficienti? Un falso mito, vi spiego perché»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

«Decentrare rende più efficienti? Un falso mito, vi spiego perché»

L’economista Coniglio: politici locali meno qualificati e legati a logiche di consenso

Domenica 05 Febbraio 2023, 14:01

Ci sono i talebani dell’autonomia differenziata al seguito del ministro Roberto Calderoli. Poi, sul fronte opposto, le sparute forze della società civile (soprattutto meridionale) che si oppongono al progetto. E infine, nel mezzo, una terza compagine, quella che nei prossimi mesi farà probabilmente la differenza: «Sono coloro che non ostacolano né supportano attivamente la battaglia, ma spesso dichiarano che l’autonomia differenziata avrà un effetto positivo sulle politiche». È a loro che si rivolge Nicola Daniele Coniglio, ordinario di Politica economica all’Università di Bari, proprio per smentire il falso mito che a un maggior decentramento corrisponda una maggio efficienza nella spesa e nell’erogazione dei servizi.
Professor Coniglio, da dove partiamo?
«Proprio da questa posizione che aleggia nel dibattito. Ho sentito il ministro Raffaele Fitto dichiarare che l’autonomia consentirà di rispondere meglio alle istanze dei cittadini senza togliere nulla ad altri».
E non è così?
«Da tempo gli economisti si interrogano sul rapporto tra decentramento ed efficienza. Studiosi come Donahue, Putnam e Tiebout hanno messo in evidenza i tre principali “doni”, cioè vantaggi, che deriverebbero da una maggiore autonomia concessa a livelli di governo sub-nazionale».
Andiamo in ordine: il primo dono quale sarebbe?
«Una maggior vicinanza ai cittadini consentirebbe di disegnare politiche migliori, più adatte alla realtà di cui si parla».
Questo, in effetti, sembra piuttosto logico...
«Lo sarebbe se il livello qualitativo delle classi dirigenti locali fosse identico o superiore a quelle nazionali. Non è così. È il contrario: i livelli più “bassi” sono in media meno qualificati e più scadenti. Ma c’è dell’altro».
Prego.
«Un serie di politiche, come Sanità e Trasporti, perdono di efficacia se “spacchettate”. Il Covid, per dirne una, ha dimostrato senza ombra di dubbio che la scala ottimale per le politiche sanitarie è quella nazionale. La risposta regionale è stata tutt’altro che vicina alle esigenze dei cittadini».

Passiamo avanti: il secondo vantaggio del decentramento quale sarebbe?
«Una maggiore spinta all’innovazione delle politiche. Una diversità di approcci a problemi comuni porta, nel medio periodo, a trovare e diffondere soluzioni collettive migliori».
Anche questo è un falso mito?
«Tralasciando l’idea secondo cui le innovazioni migliori le farebbero le regioni e non lo Stato centrale, non è chiaro quale sia il canale di trasmissione delle “politiche migliori” da un’area del Paese all’altra».
Cioè se un territorio individua una buona pratica non è detto che anche gli altri la adottino?
«Esatto. Anzi, è più probabile che non la adottino e che tutto si risolva nell’avere servizi migliori dove hai istituzioni migliori. Al contrario, è l’approccio centralistico a garantire la diffusione. Oggi il Paese che innova più al mondo, dalle monete digitali al welfare, è la Cina e lì il potere del governo centrale è fortissimo».
Terzo e ultimo «dono».
«Una maggiore responsabilità della classe politica locale che deriverebbe proprio dai maggiori poteri ottenuti. Questo è l’assioma meno certo fra i tre».
Perché?
«Perché maggiori poteri e maggiori responsabilità dei politici locali potrebbero tradursi facilmente in una spesa pubblica assai distorta dal consolidamento del consenso. Soprattutto in tempi di forte astensione si tende a canalizzare gli sforzi sulle minoranze che possono garantire, o comunque aiutare, la rielezione».
Alla fine, professore, qual è la morale?
«È quella contenuta in un emblematico studio di Andrés Rodriguez-Pose e Roberto Ezculla del 2011 che analizza la relazione tra decentramento e crescita economica in 21 Paesi ricchi, tra cui il nostro, e mette in luce l’effetto negativo sulla crescita. Processi come l’autonomia differenziata sembrano produrre più danni che vantaggi».
E dal punto di vista fiscale?
«Altro studio di Rodriguez-Pose e altra dimostrazione empirica: a una maggiore autonomia politica non segue una adeguata autonomia fiscale. Il cosiddetto “mandato non finanziato”».
Ricorda un po’ la questione dei Lep per i quali non ci sono, al momento, risorse.
«Il nodo è quello. Un semplice elenco dei Lep non serve. Il problema sono le risorse per finanziarli. Ed è il motivo per cui non sono stati messi nero su bianco finora».
E il risultato quale sarà?
«Che alle regioni più povere non saranno associate adeguate risorse mentre è più probabile che, nel caso di Lombardia e Veneto, a un mandato più ampio corrisponderanno risorse maggiori. Di fatto, saranno in pochi a guadagnarci e per chi resta fuori l’effetto non è neutrale».
Dunque dovrebbe essere nell’interesse dei governatori del Sud alzare le barricate.
«Vedremo. Di certo, ad un governatore populista, diciamo così, anche con i Lep sulla carta e poche risorse, il barattolo di marmellata fa gola comunque. E il barattolo sono le nuove competenze che potrebbero arrivare».

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