I nomi vengono prima di ogni cosa: dei programmi, delle idee, della coalizione, soprattutto della città.
Per carità, non scopriamo certo oggi che la personalizzazione della politica è entrata nella dimensione del comune sentire della gente. Persino i grandi terroristi si mostrano a viso aperto in messaggi video che cercano di far circolare nella maniera più ampia possibile: tutti conoscevano le fattezze di Osama bin Laden. E probabilmente nessuno rimpiange i tempi in cui – era il 1920 - il presidente della Repubblica francese Paul Deschanel cadde accidentalmente durante la notte dal treno presidenziale che percorreva a bassa velocità la campagna francese, si avviò in pigiama alla ricerca di soccorsi, bussò a una casa e, presentatosi come il presidente, venne preso per pazzo, faticando non poco a trovare poi qualcuno che lo riconoscesse. Ma non possiamo nascondere lo sconcerto per il dibattito avviatosi – tanto a destra quanto a sinistra – sui possibili candidati alla carica di sindaco di Bari.
Un dibattito imperniato solo sui nomi da proporre agli elettori e sulla modalità di selezione dei candidandi e non su, piuttosto, le idee per la Bari del futuro prossimo ormai alle porte.
Attenzione, il fenomeno non è solo barese, né pugliese. Nel corso della seconda metà del Novecento l’Italia è parsa a lungo estranea a forme di personalizzazione politica in virtù innanzitutto della pesante eredità del fascismo, ossia di un regime che si era proposto di realizzare una vera e propria rivoluzione antropologica, capace di rigenerare l’italica stirpe attraverso un esasperato culto del capo politico. Con l’avvento della democrazia, la centralità esercitata dai partiti nello spazio pubblico e mediale, dove sino agli anni ‘80 hanno controllato rigidamente la televisione di Stato, ha confinato a lungo il corpo dell’uomo politico nel retroscena, oscurato dagli slogan e dai simboli delle forze politiche e dall’introduzione del sistema proporzionale, poco incline a personalizzare la contesa politica. Solo il declino della «repubblica dei partiti» ha consentito al corpo degli uomini politici di rientrare sulla scena da protagonista, colmando il ritardo accumulato rispetto alle altre democrazie occidentali e – con l’ingresso in politica del principale imprenditore del settore televisivo, Silvio Berlusconi – l’hanno proiettata come caso pionieristico di studio sul terreno della «video-politica» e della personalizzazione mediale.
La personalizzazione berlusconiana della politica da tempo riguarda tutto il campo politico, anche a causa dell’indebolimento dei partiti. Pure la sinistra storicamente anti-berlusconiana non fa mistero di proporre nomi piuttosto che progetti complessivi.
Il fenomeno concerne specificamente il rapporto fra elettori, da un lato, assemblee locali, dall’altro. E può essere considerato tanto dal punto di vista dell’elettore come da quello dell’eletto, perché, in effetti, per entrambi la persona, anziché il soggetto collettivo partito, diventa il principale riferimento. Il cittadino elettore compie scelte di voto personali, sottraendosi ai condizionamenti di partito (spesso mediati da comunità d’appartenenza, per esempio nel quartiere), vota in base a fiducia personale nel candidato, e poi cerca di mantenere un rapporto personale con l’eletto, nel quadro di una visione pragmatica (non ideologica) della politica.
Ma i programmi dove sono? I tanti soldi in arrivo potrebbero cambiare radicalmente il volto di Bari ma vanno spiegati agli elettori obiettivi e progetti, visto che nel frattempo la città sconta diversi problemi, il primo dei quali è l’emergenza abitativa che riguarda vari attori della società barese – dagli universitari fuori sede a chi è poco sopra la soglia della povertà – e che continua a reclamare risposte che non arrivano.