Lunedì 10 Novembre 2025 | 07:08

Lucania, specchio di verità

Lucania, specchio di verità

 
Graziana Capurso

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Graziana Capurso

Lucania, specchio di verità

C’è una linea segreta che unisce la poesia alla terra, il ricordo alla luce. Su quella linea si muove da sempre Roberto Linzalone, classe 1953, poeta lucano, amico di Levi e testimone di una stagione irripetibile della cultura italiana

Lunedì 10 Novembre 2025, 05:22

C’è una linea segreta che unisce la poesia alla terra, il ricordo alla luce. È la stessa linea che Carlo Levi tracciò con Cristo si è fermato a Eboli, quando la Basilicata divenne per la prima volta specchio dell’anima di un intero Paese: una terra remota, ma capace di raccontare la verità universale dell’uomo. Su quella linea si muove da sempre Roberto Linzalone, classe 1953, poeta lucano, amico di Levi e testimone di una stagione irripetibile della cultura italiana. Allievo del silenzio e della parola, Linzalone ha attraversato la Lucania delle pietre e dei volti contadini, fino a ritrovarsi accanto a Francesco Rosi e Gian Maria Volonté sul set di Cristo si è fermato a Eboli, come aiuto regista e custode di un mondo che stava scomparendo. Oggi, la sua voce restituisce il respiro profondo di quella terra che Levi chiamava “ferma”, ma che nella sua poesia continua a muoversi, lenta e luminosa, come una preghiera laica rivolta al Sud e alla memoria.

Lei è cresciuto nella stessa terra che Carlo Levi ha trasformato in simbolo universale dell’esilio e della dignità contadina. In che modo la Lucania continua a parlare dentro la sua poesia?

«Il sentimento è quello di un’umanità confinata nella propria stessa dimora. La Basilicata parla con il suo dizionario di paesaggi, case, chiese, grotte e uomini in via d’estinzione. Resistono i valori della dignità e dell’ospitalità, anche se la minaccia è la perdita dell’identità».

Ci racconta la prima volta che ha incontrato Carlo Levi?

«Accadde a Matera nel 1974. Ebbi la conferma di trovarmi davanti a un uomo precipitato in un mondo che non avrebbe mai immaginato di scoprire nella sua stessa nazione. Da Giustizia e Libertà era passato a Ingiustizia e Povertà. Levi, uomo di formazione europea, aveva rivelato al Paese l’esistenza di un’umanità segregata, nascosta nel proprio silenzio. Il suo fascino resiste nel tempo: in Lucania scoprì la verità che non aveva trovato altrove».

Com’è stato lavorare sul set di Cristo si è fermato a Eboli accanto a Rosi e Volonté?

«Fu un’esperienza inattesa. Rosi mi scelse come assistente alla regia nel 1977, e da quel giorno fino ai suoi funerali restammo legati da stima e affetto. Ricordo il primo marzo 1978 a Craco: una nebbia improvvisa cancellò la scena prevista. Rosi fermò un contadino che tornava a casa dopo qualche bicchiere e gli insegnò sul momento la parte del banditore. Quell’uomo, autentico e smarrito, rimase nel film. Volonté attraversava una fase tesa, ma Rosi riusciva a tenere la squadra con affetto e disciplina. Era un regista che sapeva ascoltare luoghi e persone».

Lei ha abitato due linguaggi: la parola poetica e l’immagine cinematografica. Dove ha trovato la verità più profonda?

«Nella poesia. Ma con Rosi ho compreso che la poesia può farsi cinema civile. Cristo si è fermato a Eboli è un film di poesia: la musica di Piero Piccioni, il paesaggio lucano e l’umanità che li abita sono versi in movimento. Rosi diceva sempre: “Ci saranno i ragazzi?”. Senza il rapporto educativo coi giovani, temeva che l’arte diventasse evasione».

Carlo Levi scriveva che in Basilicata “il tempo è fermo”. Lei, invece, cosa vede oggi?

«Resta ferma la voglia di non voler cambiare. È cambiato il rapporto con sé stessi, ma la minaccia più grande è la perdita dell’identità, la smemoratezza dei valori».

Nel film di Rosi prevale una poesia del silenzio. Quanto di questa concezione nacque anche dal vostro dialogo?

«Rosi amava e rispettava la Lucania. Non ha sporcato né forzato nulla. La sera, nei ristoranti di Matera, si discuteva di politica e poesia: Parrella e Tonino Guerra volavano sulle parole, mentre Rosi, sempre attento, osservava tutto. La domenica passeggiava nel centro storico: da un portale, da una pietra, sapeva risalire a una storia universale».

Oggi la povertà ha altre forme. Come la racconterebbe un nuovo “Cristo”?

«Oggi la miseria è nell’anima. Bisognerebbe ritrovare i valori profondi: solidarietà, rispetto, verità».

Lei ha conosciuto i grandi del Novecento. Cosa vorrebbe trasmettere ai giovani poeti?

«Identità, amore, appartenenza. La fede nella verità: è la lezione più grande che ho ricevuto da Rosi».

Il Sud è per lei una ferita o una salvezza?

«È entrambe le cose. Una ferita che salva, perché costringe a ricordare chi siamo».

Un ricordo inedito che sente di consegnare alla memoria collettiva?

«La comunicazione dei sentimenti. È questo che mi resta: la voce di Levi, lo sguardo di Rosi, la verità di una terra che ancora oggi parla per immagini e silenzi».

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