Anche le bombe hanno radici. E molte fra quelle che incendiano i teatri di guerra contemporanei affondano le proprie nel cambio di passo che mutò la natura della Nato sul declinare del secolo scorso. Un passaggio chiave al centro dell’analisi sviluppata da Fabio Mini - generale di corpo d’armata e saggista - nel suo ultimo volume La Nato in guerra, edito dalla barese Dedalo all’interno della collana «Orwell» diretta dal filologo Luciano Canfora. Proprio quest’ultimo, con il giornalista Luca Sommi, dialogherà con Mini venerdì 11 (ore 20, piazza Moro) nella penultima giornata dell’edizione polignanese del Libro Possibile che vedrà lo stesso Mini impegnato anche in un successivo incontro (21.50), con Stefania Pinna e Nuccio Altieri, dedicato a «Difesa e Sicurezza».
Generale Mini, cos’era la Nato e soprattutto cosa è diventata oggi?
«Per tutta la guerra fredda la Nato è stata sia un simbolo sia uno strumento della politica. Il simbolo positivo della coesione transatlantica e della unanime volontà di rispettare la Carta delle Nazioni Unite nel nuovo ordine mondiale. Il simbolo negativo della subalternità europea alla politica e agli interessi statunitensi che comunque era un dato di fatto: la guerra aveva avuto vincitori e vinti che continuavano a restare tali anche in pace».
Questo per i simboli, ma come strumento?
«Lo strumento era multiforme e non esclusivamente militare, ma limitato nelle prerogative e nella giurisdizione geografica. Il Trattato riguardava l’area del Nord Atlantico fino al tropico del Cancro e dava la priorità al ruolo politico-diplomatico, alla cooperazione, alla prevenzione dei conflitti, alla gestione delle crisi e in subordine, in una specifica e ben regolata eventualità, l’attacco armato, al ricorso alla forza militare. Come strumento della politica la Nato ha assolto egregiamente il ruolo di stabilizzazione in Europa. Era l’ago della bilancia tra Est ed Ovest».
Poi cosa è successo?
«L’implosione dell’Unione Sovietica. Un evento inaspettato che ha colto di sorpresa gli stessi Stati Uniti, ma che hanno subito intuito l’opportunità di passare ad un ordine mondiale unipolare. Anche questo era un dato di fatto. Non essendoci più il nemico designato e non essendoci al mondo altra potenza in grado di contrastare o almeno confrontarsi con gli Usa, l’unipolarità era quasi naturale. Occorreva vedere come gestirla e dal primo approccio cooperativo gli Usa sono passati quasi subito a quello speculativo. Occorreva capitalizzare l’opportunità».
Così la Nato ha cambiato natura….
«Da quel momento in poi è diventata strumento di squilibrio assecondando tutte le avventure militari degli Usa, anche quelle contrarie agli interessi degli alleati. Con l’espansione della Nato si sono inglobati Paesi che non portavano sicurezza ma insicurezza. Si sono dimenticate le priorità del Trattato e si è pensato e agito soltanto in termini militari. Ogni cosa doveva essere affrontata con la forza e la minaccia delle armi».
Nella prefazione al libro, Canfora definisce la Nato «sgangherato organismo atlantico che ci ha regalato la guerra in Ucraina». Condivide il giudizio?
«È perfetto! Il termine “sgangherato” è il più appropriato in senso etimologico e semantico. La Nato è uscita dai cardini, dai gangheri del Trattato e si è messa a fare cose contrarie a esso e in luoghi non previsti».
Ma a conti fatti la Nato è in guerra con chi?
«La Nato si è ritenuta in dovere di combattere tutti coloro che gli Stati Uniti consideravano propri nemici, avversari e potenziali concorrenti. In pratica con il resto del mondo».
Oggi sembra che la postura neoconservatrice (neocon), che aveva contaminato amministrazioni Usa di diverso orientamento, dopo l’avvento di Trump sia stata assunta, più che altro, da alcuni Paesi europei. È l’Europa il motore della «frenesia» guerrafondaia?
«Questo è l’aspetto più paradossale: l’Europa che ha tutto da perdere con i conflitti nell’area, che si è gongolata del Nobel per la Pace per aver garantito la stabilità sul continente, è la più sfrenata in questa frenesia bellica. Fomenta sempre più i dissidi e alimenta l’aggressività contro la Russia, ma non soltanto, perché si esprime in termini neocon nei riguardi di altri Paesi dal Mediterraneo ai mari cinesi».
Ecco, gli scenari sono tanti: quali potrebbero essere i nuovi fronti caldi?
«Con l’ultimo vertice i Paesi più bellicosi della Nato si sono presi una bella doccia fredda e la sopportano molto male. Trump, limitando le decisioni ai soli aspetti finanziari e non accennando neppure alle decine di pretese che la Nato aveva avanzato nei summit precedenti, ha praticamente riportato la Nato nel contesto di organizzazione regionale. Con l’imposizione delle basi di spesa per il riarmo ha costretto la Nato a rimanere nel ruolo subordinato di semplice strumento della politica e delle pulsioni statunitensi».
Generale, come andrà a finire?
«I Paesi europei hanno ancora l’intenzione di contrastare Trump nelle sue manovre per accordarsi con la Russia e faranno di tutto perché il conflitto in Ucraina non finisca. Da parte sua Trump ha ormai intrapreso una politica di forza nei confronti di tutti i potenziali avversari: dall’Iran alla Cina. Il Mediterraneo grazie anche ad Israele è il luogo primario di altri conflitti. Taiwan è una crisi controllata, può esplodere anche domani ma non per volontà cinese. Infine Trump non ha abbandonato nessuna delle sue annunciate pretese territoriali ed economiche sulla Groenlandia e l’Artico e anche questi possono diventare pretesti per nuovi conflitti».