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La guerra nel piatto tra visione e produzione

 
Dorella Cianci

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Dorella Cianci

La guerra nel piatto tra visione e produzione

Domenica 25 Maggio 2025, 18:51

Le nostre giornate hanno tutte un denominatore comune: il cibo. Scandisce i nostri momenti di riposo, lo ricalibriamo da ammalati, lo menzioniamo quando dobbiamo incontrare amici o colleghi, lo scegliamo, con più o meno cura, nei supermercati. Già con queste premesse, si potrebbe intuire quanto il cibo sia importante, ma il saggio Il cibo a pezzi (Bompiani) ci dice qualcosa di più, partendo dall’ipotesi che – oggi -  il cibo è una vera e propria guerra, in cui si confrontano modalità di produzione e di visione della società. Non solo. Gli autori si spingono un po’ più in là, dicendo che il tema alimentare ha a che fare con la democrazia e col suo destino. È evidente che esso, a seconda dei continenti, assume significati più o meno diversi, che riguardano il concetto di “bisogno”, chiamando in causa, poi, ulteriori aspetti culturali, atti a trascendere il semplice apporto per la sopravvivenza. Quando, in relazione al tema, usiamo il termine “identità”, dobbiamo esser pronti -  serenamente -  ad ammettere che dietro questo concetto si nascondono atavici stereotipi riguardanti i popoli.

Italia, Francia e Spagna mettono insieme cibo e patrimonio artistico, facendo coincidere ciò che portiamo alla bocca, per necessità o diletto, con una visione identitaria. I paesi anglosassoni, invece, collegano il cibo ad altri stereotipi: nella nostra contemporaneità lo collocano in relazione allo sport, mentre, secoli fa, lo agganciavano all’idea del primato e dunque al guerreggiare. Scrivono gli autori del saggio: «Il 1945 e gli anni che accompagnano la ricostruzione, sono decisivi per capire le modalità con cui l’Europa e l’Italia si sono differenziate rispetto agli altri continenti. È stata battuta una strada per molti versi inedita e che ha contribuito a rendere il continente europeo, in larga parte, autonomo nell’approvvigionamento di cibo e, sempre più competitivo, sul mercato mondiale, in modo da invertire del tutto i rapporti di forza fra vecchio e nuovo continente». Se ne potrebbe concludere, che – a giudizio di molti- l’Europa, facendo una sintesi di scienza e diritti dei cittadini, è da considerarsi il continente più sicuro per il modo in cui si produce cibo.

La questione, però, è decisamente controversa e alcuni atteggiamenti europei virtuosi oggi finiscono per diventare viziosi e poco documentati. Un dato su tutti. Il vero acceleratore del cambiamento, alla fine degli anni ’80, fu rappresentato dall’inclusione del settore agricolo nei negoziati sul commercio internazionale. Che cosa ne è derivato se non una liberalizzazione che dovrebbe tentare di mettere insieme tanto le politiche agricole quanto quelle ambientali e di coesione sociale? È accaduto tutto questo o in un panorama di nuovi isolazionismi, il cibo è diventato causa di fraintendimenti e di politiche sovranistiche? Oppure hanno ragione coloro che vedono nella passata globalizzazione il difetto della produzione e del consumismo alimentare senza freni? Non c’è una vera visione dicotomica. Si può notare come i temi siano più incastrati di quel che appare; dal ’46 la carenza di fertilizzanti, in Europa, ci ha spinto verso la dipendenza dagli Usa, che – a loro volta – amano contaminare la loro dieta (imperfetta) con quella dei prodotti agroalimentari europei.

In conclusione si può notare come il cibo sia un catalizzatore di interessi economici, ma sia anche portatore di una visione complessa del mondo. Tanti gli interrogativi aperti. Il saggio si chiude con un intervento magistrale di Massimo Cacciari sulla sacralità del processo nutritivo, che si riaggancia al mito di Prometeo e a quell’attimo in cui si è aperta una profonda crisi fra l’uomo e gli dei: non solo il furto del fuoco, ma anche l’uso del fuoco per nutrirci, a differenza di come fanno le divinità. Da quel momento abbiamo messo in piedi una “comproprietà” con gli dei e ogni pasto dovrebbe ricordarci la dimensione sacrale, che dimentichiamo costantemente, scegliendo atteggiamenti settari (come il veganesimo) o bulimici di piacere. 

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