Questi filosofi che ne sanno della donna? Eh sì, s’innamorano, ma, nella storia del pensiero, hanno colpevolmente legittimato la loro sottomissione. E le filosofe sono state abbastanza incisive da rivendicare non tanto l’uguaglianza, quanto le loro specificità? Quanto si è sentita la loro voce? Accidenti che tema immenso ed eterogeneo! Sin dal Settecento, con Mary Wollstonecraft e Olympe de Gouges, le teorie femministe hanno tentato di abbattere una forma di potere radicata nella società ma, allo stesso tempo, ignorata per secoli. Stiamo parlando del potere del sesso maschile su quello femminile.
A questo discorso insidioso, legato a doppio filo al concetto di «potere», si è opposto (e continua a opporsi) la «filosofia della differenza», grandiosa corrente filosofica del XX secolo, che, a sua volta, si abbina ad alcune teorie femministe di cui fanno parte, in maniera diversa, Carla Lonzi, Luce Irigaray e Adriana Cavarero (per ricordare almeno tre nomi, anche se molti altri andrebbero aggiunti a questo elenchino). La corrente della «differenza» ci insegna che è possibile concepire una filosofia, e in generale una cultura, «a due voci», come scrive la stessa Irigaray. Questo discorso è stato oggetto di moltissimi saggi e convegni, ma per darne un breve assaggio è fondamentale iniziare dal movimento delle donne» della prima ondata del XIX secolo, un movimento che otterrà il massimo delle sue conquiste dopo la fine della Grande Guerra. E poi si aggiungono due protagoniste d’eccellenza come Virginia Woolf e Simone de Beauvoir, le quali ripenseranno l’intera ideologia femminista basata non più sull’uguaglianza, ma sulla differenza tra uomo e donna all’interno di una società complessa. Entrambe le due pensatrici hanno aperto la strada a un nuovo femminismo. Nel ’49, ad esempio, quando de Beauvoir ha pubblicato Il secondo sesso qualcosa di irripetibile è accaduto nella storia delle donne: si sono gettate le basi per l’autocoscienza femminile.
Riflettiamo qui su un’espressione provocatoria, che è stata in voga nel movimento femminista, grazie a un testo di Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel (1970), ripubblicato efficacemente dalla casa editrice «La Tartaruga». Perché prendere Hegel come bersaglio polemico? È un simbolo formale e sostanziale al tempo stesso: Hegel ha escluso dalla dialettica servo-padrone, il dissidio uomo-donna, che viene, invece, presentato come un dato fisiologico, così che egli razionalizza, «più insidiosamente degli altri filosofi», il potere patriarcale su una presunta base metafisica naturale. Afferma polemicamente Carla Lonzi: «Da un lato, infatti, la donna è incastrata nella sua essenza privata e ferma allo stadio della soggettività e dell’immanenza; dall’altro, è condizione di esistenza dell’universale e della trascendenza, nella misura in cui il suo destino è dettato dalla sua funzione procreatrice». Per fortuna, però, la donna ha avuto sussulti forti contro il patriarcato (che ha ancor oggi i suoi rigurgiti), a cui iniziò a strizzare l’occhio anche Platone.