È dedicato alla «guerra eterna», tra mondo antico e presente post-moderno, il nuovo numero dell’inserto culturale «Icaro» che i Lettori troveranno oggi all’interno della Gazzetta del Mezzogiorno. Si inizia con l’ultima fatica dello storico Luciano Canfora, dedicata alla Guerra del Peloponneso per arrivare alle odierne sfide dei francescani in Terra Santa, passando per i contributi dell’arte, della musica, del teatro antico, del cinema e delle riflessioni sul mito di un grande storico delle religioni come Mircea Eliade.
Il nuovo libro di Canfora
Nella testa della guerra
La lezione di Tucidide
C’è una frase che potrebbe essere incipit ed epilogo di tutto il ragionamento. La scrisse Bacone nel 1584: «È bene udire cosa dice il mondo antico». Si riferisce a quella che comunemente (e impropriamente) è definita Guerra del Peloponneso ma, soprattutto, alla lettura che ne diede Tucidide, storico e stratego ateniese, uomo ricchissimo e per questo osservatore privilegiato degli eventi che opposero Atene e Sparta in quel conflitto che deflagrò nel suicidio della Grecia classica.
L’opera di Tucidide è appunto quotidiano, meticoloso, dalla lunga rincorsa. Ci porta nella testa della guerra. È l’inizio del filone «realistico» della storiografica antica ma, soprattutto, contiene in sé un elemento senza tempo per cui val la pena continuare a interrogare quelle pagine millenni dopo: la ricerca della «causa verissima ma nascostissima» della guerra.
L’effetto dirompente di questo «scavo» non è immediato ma ad accompagnare per mano il lettore attraverso l’opera tucididea ci pensa lo storico e filologo barese Luciano Canfora nel suo ultimo volume La grande guerra del Peloponneso (Laterza, pp. 280, euro 20). È un libro che, diversamente dagli altri, presenta un elemento singolare: inizia dalla copertina che, qui, non è orpello ma sostanza. C’è una data appena sotto il titolo - 447-394 a.C. - e non è quella solitamente indicata dai manuali che perimetrano il conflitto peloponnesiaco nei 27 anni canonici tra il 431, con la prima invasione spartana dell’Attica, e il 404, data della resa ateniese. L’errore, come ovvio, è solo apparente. A voler semplificare, è una sorta di invito alla lettura nonché un indizio della lezione tucididea: non è il primo colpo inferto a segnare l’inizio della guerra. Anzi, come precisa Canfora, «la causa vera non ha nulla a che fare con il problema formale di chi ha sparato per primo» che invece sembra ossessionare i contemporanei («c’è un aggressore e un aggredito...»). Le guerre, insomma, non cominciano il 24 febbraio o il 7 ottobre. Al contrario, sono già in atto quando la cronaca racconta tutt’altro. E così Tucidide riporta la questione al suo nocciolo evidenziando come il deflagrare della situazione fosse dovuto al crescere della potenza imperiale ateniese e al progressivo timore che di essa nutrivano gli spartani.
È lo squilibrio dei rapporti di forza che, annota Canfora, in geopolitica significa guerra. Sarà così anche nel Novecento allo scoppio del primo conflitto mondiale: altro che attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, dal punto di vista inglese la Germania era diventata troppo forte. Lo dirà a chiare lettere, e non è un caso, un grande grecista come Wilamowitz nel dicembre del 1917. Le similitudini non finiscono qui, naturalmente: la guerra del Peloponneso sarà, a suo modo, «mondiale», come quelle del nostro tempo e condurrà al medesimo esito. Cioè il tramonto greco - con i contendenti dissanguati da anni di combattimenti - che tragicamente si affratella al tramonto europeo del 1945, con l’emersione di nuove, grandi potenze lontane. L’effimera vittoria degli spartani si dovrà al barbaro aiuto del Gran Re, cioè alla Persia degli Achemenidi, con cui i greci - da ambo le parti - si sporcheranno volentieri le mani, in spregio di ogni affermazione suprematista e di tutti gli esercizi di superiorità democratica.
È la disinvoltura che certifica la fine. Il vero vincitore, naturalmente, sarà Artaserse. E, dopo, a cascata, i macedoni e i romani. Tucidide, e Canfora con lui, riattraversa l’intera vicenda dilatandola nel tempo e nello spazio, lungo l’asse Mediterraneo. Il lettore non specialista, forse un po’ spaesato dopo le prime pagine, riprenderà in breve il filo degli eventi, dalla guerra commerciale alla pace di Nicia, dalle pressioni delle élites e delle classi popolari fino alle tessiture diplomatiche e alle battaglie campali, Sicilia in testa. Ma la concatenazione dei fatti resta sullo sfondo. S’impone, potente, la lezione di Tucidide e il destino della stessa: guardata con sospetto e avversata, risuonava «scandalosa» perché sgusciava lontano dai percorsi obbligati della propaganda. Non dovremmo faticare a comprenderlo perché identica sorte tocca ai Tucidide di oggi, negli anni della complessità bandita e delle ricostruzioni negate. Eppure, sarebbe sufficiente venir fuori dalla palude delle pelose schermaglie e semplicemente ricordarsi di Bacone. Il mondo antico continua a parlare. Basterebbe ascoltarlo.