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Monopoli, giornata infernale
nel pronto soccorso affollato

 
Nicola PEPE

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Nicola PEPE

Monopoli, giornata infernalenel pronto soccorso affollato

Lunghe attese in astanteria, circa un paziente su due non è monopolitano e la struttura è fatiscente

Venerdì 28 Luglio 2017, 12:30

GIANLUIGI DE VITO

MONOPOLI - Pure la carrozzina sghemba è incerottata. Quel catorcio da rottamare, vecchio dono dell’Unitalsi, è l’unica possibilità di trasporto per l’umanità ferita che cerca cure al pronto soccorso dell’ospedale «San Giacomo» di Monopoli. Nel corridoio-budello davanti a uno stanzino adibito ad astanteria, l’unica lettiga fa arrossire anche un ladro di ferro. Il cartello affisso sul radiatore che sputa a fatica spifferi freschi, sembra una beffa: «Si prega di non utilizzare i radiatori per sedersi o come piani di appoggio». Firmato: il dirigente amministrativo Francesco Luongo. Viene da pensare a un’orda di barbari, a zaffate di ascelle sudate che invadono ogni dove. La verità è che non ci sono sedie e le poche occupate sembrano la conquista di una Champion’s League.

Dieci minuti dopo le nove e mezza c’è un muro umano abbronzato nella piccola sala d’attesa. Qui, per fortuna ci sono due file opposte di sedie. Polignano, Fasano, Conversano, Mola. Non c’è nessuno dei 49mila monopolitani. Alle 12.20, il paesaggio umano della saletta piena come un uovo sodo non cambia: nessu residente tra chi è in attesa del «triage».

Maria Rosaria Venere, 26 anni, studentessa in Ingegneria a Bari, accompagna il fidanzato che ha come un tamburo cupo nell’orecchio: «Forse ha il timpano perforato. Siamo andati all’ambulatorio di Conversano, ci hanno detto che non erano in grado di intervenire e siamo qui. Siamo in giro dalle 9, vorremmo solo che qualcuno ci desse qualche spiegazione in più». Chiara Firulli, 40 anni, di Conversano è del mestiere. È una precaria all’«Hospice» di Monopoli, un angolo dell’amen dove la fine certa è accompagnata da farmaci palliativi. È al pronto soccorso del «San Giacomo» per la figlia 18enne, in balia di una febbre che da quattro giorni non scende sotto i 38 e che non le consente di tenere asciutti gli occhi: «E se ci fosse già una complicanza da setticemia?». Sbotta: «Però Emiliano in un’ora e mezza lo hanno operato quando si è rotto il tendine d’Achille».

Anche Angela Semeraro, 50 anni, di Fasano, accompagna la figlia, in preda a spasmi ai reni e al basso ventre: «Al pronto soccorso di Ostuni è ancora peggio, se parli un po’ di più ti sbattono fuori dalla sala d’attesa. Ma anche qui, non è possibile che per essere chiamati bisogna urlare e per avere un’ecografia devi aspettare fino alla sera». Caterina Spada, 58 anni, di Mola, ha il cuore che galoppa. Dopo quattro ore se ne va indignata: «Non ce la faccio più ad aspettare». Daniela Meliota, 38 anni, di Rutigliano, vive da anni a Treviso. È voce amica: «Siamo in vacanza. Mio figlio sta male da giorni. Sono venuta altre volte in questo ospedale, ho sempre avuto risposte positive».

Il rosario di rabbia è una sintesi che non la dice tutta. Il «San Giacomo» è sotto stress tutto l’anno, perché è riferimento di una cerniera che dal mare alla Valle d’Itria è abitata anche d’inverno. Rivela Vincenzo Fortunato, direttore sanitario che all’arrivo 4 anni fa trovò la sala parto in una stanza di degenza e che evitando ricoveri non necessari ha ridotto del 50% il segno meno del rapporto costi/ricavi (39/24 milioni, - 62%, nel 2013, 35/27milioni, -32%, nel 2016): «Abbiamo 30mila accessi all’anno, ma con un trend costante nei mesi. Il 60% è di monopolitani, il 40% di non residenti, la cui affluenza da giugno 2016 a giugno 2017 è aumentata del 25%».

Un plotone di 132 medici e 210 infermieri non sono un’armata da poco. Ma deve reggere botta a una popolazione di 300mila utenti che nei periodi festivi s’ingrossa e che deve fronteggiare anche l’emergenza-urgenza da traumi. Per questo è inconcepibile che la Rianimazione non abbia il «broncoscopio» né che la Radiologia abbia un solo tavolo radiologico (preso in affitto per sostituire quello vecchio in tilt) peraltro senza pedana adeguata né proiezioni laterali: i barellati e gli anziani sono spacciati.

La coperta del pronto soccorso rimane cortissima: dei 14 medici, tre sono in maternità e dei 19 infermieri, uno è in malattia, due in congedo parentale e due in «104» (assistenza disabili). Difficile pure digerire i ritardi che si sommmano: l’Obi (l’Osservazione breve intensiva) che consentirebbe di cancellare la vergogna dell’astenteria, ha i letti ma non i monitor né i sei infermieri necessari. «Entro l’anno avremo la riorganizzazione completa del pronto soccorso», s’impegna il direttore generale Vito Montanaro.

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