BRINDISI - Le tangenti per i presunti dipendenti e funzionari Enel «infedeli» sarebbero state nascoste nei pacchetti di sigarette, consegnati con diversi metodi dall’imprenditore che, da un certo momento in poi, ha deciso di raccontare tutto. Le utilità percepite però non sarebbero state solo somme in contanti, fino a 154 mila euro: ma anche una autovettura, un iPhone e una carta ricaricabile da usare nei negozi del circondario, anche per acquistare gli arredi per le abitazioni private. Per un totale di circa 230mila euro. Con l'arresto di cinque persone, tutte interne alla centrale Enel Federico II di Brindisi (una poi trasferita a Rossano) è scoppiata una bufera sulle modalità di gestione degli appalti, delle assunzioni nell’indotto, e sull'esecuzione dei lavori che, a quanto evidenziato dagli inquirenti, non sarebbero poi stati fatti a regola d’arte. Per consentire - nel caso specifico a un solo imprenditore - di sovrafatturare le opere eseguite e quindi ricavare anche le «mazzette» da versare in cambio di agevolazioni e 'soffiatè per conoscere i requisiti necessari a vincere le procedure di gara.
Enel Produzione, sempre secondo quanto emerge dal primo scampolo d’inchiesta condotta dalla guardia di finanza di Brindisi, con il coordinamento dei pm Milto Stefano De Nozza e Francesco Carluccio, era inconsapevole di quanto accadesse all’interno del sito di Cerano. E’ venuta a conoscenza di tutto dopo la prima segnalazione alla polizia fatta dal titolare di una società di Monteroni di Lecce, Giuseppe Luigi Palma, che è stato più volte ascoltato e che in seguito alla «autodenuncia» è ora accusato di concorso in corruzione. Per lui non è stato chiesto l’arresto. Anche la società elettrica ha formalizzato una denuncia querela, una volta acquisito il racconto, registrato, del titolare della ditta che avrebbe pagato le tangenti.
In manette sono finiti Domenico Iaboni, di Roma, Carlo Depunzio, di Mesagne (Brindisi), Fabiano Attanasio di Brindisi; Vito Gloria, di Brindisi e Nicola Tamburrano di Torre Santa Susanna (Brindisi). L’unico ad essere condotto in carcere è stato Carlo Depunzio, addetto del settore Ambiente e sicurezza della centrale elettrica Federico II di Brindisi. Gli altri sono stati posti ai domiciliari. Le misure cautelari sono state emesse dal gip Stefania De Angelis. Da quanto emerge, sarebbe stato chiesto agli imprenditori il 5 per cento di ogni pagamento per i lavoro, in cambio di rivelazioni dei requisiti per partecipare ad appalti edili e di certificazione di stati avanzamento dei lavori eseguiti non a regola d’arte. Ogni stato di avanzamento sarebbe stato pagato duemila euro circa. Le consegne dei soldi sarebbero state compiute in più tranche. In un caso è stato documentato che un muro in cemento armato per il contenimento della protezione idraulica contro il rischio di esondazione delle acque, in corrispondenza del nastro trasportatore della centrale, non sarebbe stato completato.
L’inchiesta è ancora in corso, così come spiegato ai giornalisti dal procuratore della Repubblica di Brindisi, Marco Dinapoli secondo cui a essere stato scoperto sarebbe un vero e proprio «sistema» e non solo una condotta singola. La posizione di altre ditte e di altri funzionari è al vaglio della procura, nell’inchiesta che conta un numero superiore ai sei indagati per cui sono state emesse misure cautelari personali o reali: "L'imprenditore non ha preso l’iniziativa di pagare le tangenti, è stato avvicinato. E’ logico pensare che ci siano altre persone che hanno partecipato a questo sistema».
PROCURATORE: BENE LA DENUNCIA DELL'ENEL - L’Enel denuncia, un imprenditore svela il 'sistemà: sono questi i due elementi fondamentali che hanno consentito alla Procura di accertare, con tutti i riscontri necessari, il giro di presunte mazzette pagate ai cinque funzionari e dipendenti della centrale Enel di Brindisi arrestati oggi dalla Guardia di finanza.
La denuncia querela dell’Enel risale al 12 gennaio scorso. Un mese prima a Roma l’imprenditore Giuseppe Luigi Palma aveva tenuto con i vertici della società un incontro, che, con il consenso di tutti i presenti, era stato registrato. Nel marzo successivo l’uomo ha minacciato di lanciarsi nel vuoto, dopo essere salito su una impalcatura nei pressi del nastro trasportatore della centrale Enel di Cerano. Le difficoltà economiche lo avevano spinto a protestare: voleva il saldo delle fatture, dopo che ne era stato deciso l’allontanamento, proprio per via dell’inchiesta in corso.
Palma, che risponde in concorso con 5 funzionari e dipendenti Enel di ipotesi di corruzione continuata per atti contrari ai doveri d’ufficio, aveva deciso già il 3 novembre 2016, parlando con un ispettore di polizia, di denunciare «un sistema di tangenti connesso alla aggiudicazione degli appalti». Sistema su cui i pm stanno ancora lavorando. Aveva reso dichiarazioni autoaccusatorie che non lo inquadrano, al momento, come vittima, pur non essendo stata disposta, per assenza di esigenze cautelari alcuna misura restrittiva a suo carico. Le indagini sono andate avanti. E sono giunte oggi a un punto di svolta.
«Bene ha fatto Enel a denunciare» ha detto ai giornalisti il procuratore della Repubblica di Brindisi, Marco Dinapoli. «Enel ha denunciato e ha fornito documentazione che ci ha dato riscontro della falsità delle certificazione degli stati di avanzamento dei lavori», ha aggiunto. «E' così che si dovrebbe fare sempre. Chi subisce l’atteggiamento da parte di dipendenti infedeli - ha concluso - deve rivolgersi all’inquirente perché si accerti la rilevanza penale dei fatti accertati».
La società elettrica, quindi, avrebbe subito un danno dalle condotte dei suoi dipendenti secondo l’impostazione dell’accusa. "L'indagine della Procura della Repubblica - ha detto Dinapoli - trae origine dalla denuncia presentata dalla stessa società nel mese di gennaio. Enel, durante questo periodo, ha costantemente fornito alla Procura della Repubblica ogni elemento utile per fare piena chiarezza sull'intera vicenda». Sono stati per altro adottati provvedimenti disciplinari, incluso il licenziamento, nei confronti dei dipendenti per i quali attraverso le verifiche interne erano stati già individuati elementi di responsabilità. Uno di essi, infatti, è stato licenziato e ha contestato il provvedimento dinanzi al giudice del lavoro. Quanto all’imprenditore, egli «non immaginava - scrive il gip nell’ordinanza - che il sistema di corruzione lo avrebbe portato a un sostanziale fallimento».