Il pianista, compositore e direttore d’orchestra Ezio Bosso, nonostante l’immensa mole di opere scritte, composizioni e collaborazioni, il suo primo doppio album The 12th Room, lo ha licenziato solo a ottobre scorso, balzando ai primi posti in classifica dei dischi più venduti. Da quel momento in poi, grazie anche alla partecipazione al festival di Sanremo, è diventato popolarissimo e ha ottenuto sold out in tutti i suoi live.
Bosso, che dal 2011 convive con una malattia neurodegenerativa progressiva, ha composto musica classica, colonne sonore per il cinema, per il teatro e per la danza, fino a scrivere sperimentazioni con i ritmi contemporanei. Dopo lo straordinario concerto al teatro Petruzzelli, Bosso torna in Puglia per esibirsi questa sera, alle 21, al Foro Boario di Ostuni (info: 393.963.98.65), mentre sabato 20 alla Cava del Sole a Matera (tel. 0835.1973420 – cell. 392.9199935 – info.ensemblegabrieli@gmail.com). Il suo concerto di piano solo chiude PianOstuni, rassegna organizzata da Bass Culture in collaborazione con l’assessorato al Turismo del comune di Ostuni.
Bosso, ha attraversato la 12ma stanza, come indica il titolo del suo disco?
«Sarei presuntuoso a dirlo. Sono una persone che apprezza l’umiltà, che vuol dire non prendersi un merito che non ho, il mio lavoro è essere un tramite. Ho incontrato questa teoria che mi piace, ma questo non vuol dire che le ho attraversate. Tento ad apprezzare tutto ciò che incontro e tutte le stanze in cui vivo. Quindi, la mia teoria è quella di vivere ogni stanza fino in fondo e non scoprire com’è fatta».
Per lei cos’è il successo?
«Non mi riguarda e non saprei dirlo: il mio ruolo è di portare e condividere. La soddisfazione più grande, quella che mi fa rendere conto della responsabilità che ho in questo momento, è di vedere le persone che fanno un’ovazione quando ascoltano Chopin, Bach e Cage al concerto. Portarli a incuriosirsi a cercare altra musica, credo sia la cosa più bella che possa accadere. Per il resto combatterò forte, anche tra poco quando cercherò di alzarmi per andare a studiare e suonare, quello è il vero successo».
Lei è un «mod» convinto, un grande del «modern jazz». Nel nostro incontro al teatro Petruzzelli nel febbraio scorso, ci ha confessato che il suo film preferito è «Quadrophenia» diretto da Franc Roddam con protagonisti gli Who. Perché è affascinato da quegli anni e da quella cultura?
«E’ una cultura nella quale l’individuo può migliorarsi. Dobbiamo pensare che il modernismo è nato dalle classi più povere, permettendogli di distinguersi e diventare belli. Pur essendo semplicemente una sottocultura giovanile, questo faceva si che questi ragazzi che uscivano dalla guerra e da un molto povero, si rinfrancassero anche della loro situazione sociale. Un esempio è rappresentato dallo scooter (nel film la mitica Lambretta era il mezzo con il quale si spostavano i “mod”, ndr), che era poi il trasporto più proletario dell’epoca. Abbellirlo, renderlo luccicante come si vede nel film, era un modo per abbellire la propria vita. Questo è il lato che mi ha fatto scoprire i “mod”, che mi ha dato anche la capacità ogni giorno, anche se non sto bene, di farmi la barba».
Partendo dal brano manifesto di quegli anni come «Baba O’Riley» degli Who, in cui la band inglese mette insieme la filosofia di Meher Baba e il minimalismo di Terry Riley, che ci dice della musica?
«La musica di quegli anni è immensa, aveva un percorso culturale molto importante. “Baba O’Riley”, così come alcuni dischi degli Who dei quali quest’anno si ricorda il quarantennale, aveva la capacità di non essere solo rock. In loro riconosco la capacità, come mi ha insegnato il buon Terry, di cercare in una nota tutte le sue espressioni».
Ritiene ci siano nuove strade nella composizione di musica classica?
«Il peggior nemico di noi stessi è il consenso, che sia esso di masse o di nicchia è la cosa più pericolosa che possa esistere. La musica è una materia sognante, non è tangibile, quindi infinita. Il potere dell’immaginazione e, soprattutto, credere in ciò che si fa, esisterà sempre in qualcuno. La nostra società così edonista, tende a far cancellare tutto questo».