TARANTO - È arrivata a distanza di sette anni la svolta sull’attentato intimidatorio avvenuto a maggio 2015 ai danni di Mario Lucaselli, titolare della latteria «da Mario» in via Temenide a Taranto: gli autori di quell’agguato, cinque colpi di pistola contro la saracinesca, sono stati indicati agli inquirenti da un nuovo collaboratore di giustizia che fornito agli investigatori della Squadra Mobile e al pm Milto De Nozza della Direzione distrettuale Antimafia di Lecce i nomi e cognomi degli autori materiali della minaccia. Alcuni stralci delle nuove rivelazioni fatte dal pentito a giugno 2021, sono infatti contenuti nella memoria che il pm De Nozza ha depositato nei giorni scorsi al termine della requisitoria in cui ha chiesto ben 26 condanne per gli imputati del processo «Città nostra 2», il filone di indagine che ha ricostruito gli affari legati al traffico di stupefacenti di alcuni clan del capoluogo ionico. In quel documento, si legge che il nuovo collaboratore ha indicato come «autori dell’attentato Francesco Mancino e Fabrizio Nigro, soprannominato «Calippo». Sarebbero loro due gli uomini che la sera del 14 maggio 2015, a bordo di uno scooter di grossa cilindrata, avrebbero esploso ben 5 colpi di pistola contro la saracinesca e la vetrata dell’esercizio commerciale di Mario. La ricostruzione del pentito, secondo il pm De Nozza, «è assolutamente precisa e rispondente alle risultanze delle intercettazioni telefoniche dell’epoca».
I nomi di Mancino e Nigro, tuttavia, erano già finiti nelle informative redate dai poliziotti guidati all’epoca dal sostituto commissario Marcella De Giorgio, ma negli anni scorsi non erano stati individuati sufficienti elementi di riscontro per formulare l’accusa ufficiale. Le nuove rivelazioni, invece, potrebbero rappresentare le conferme finora mancanti.
Quell’episodio non fu la prima intimidazione contro Mario. Già tre mesi prima di quelle pistolettate, a febbraio 2015, a Mario era stata incendiata un’auto: di lì a poco nella latteria di via Temenide era entrato per la prima volta anche «zio Mimmo De Leonardo», uno dei capi della mala ionica che aveva chiesto informazioni sull’incendio, ma contro di lui non sono mai state formulate accuse per quegli episodi.
Al quel fatto se n’erano poi aggiunti altri. Come le numerose telefonate minatorie ricevute da Mario: in una giornata ben 20 chiamate. Solo in una di queste qualcuno si era fatto sentire: gli aveva detto «te la farò pagare». E infine, a maggio, quei cinque colpi di pistola. Dalla sua abitazione poco distante dal negozio, Mario aveva sentito quei botti, ma aveva pensato che fossero normali petardi. Solo la mattina successiva, quando era arrivato davanti al negozio per cominciare una nuova giornata di lavoro, si era accorto di quanto era accaduto e non aveva avuto alcun timore a denunciare tutto. I poliziotti, inoltre, avevano ricostruito come nei giorni precedenti alle pistolettate, nel negozio del commerciante erano entrati quattro personaggi notoriamente legati alla mala tarantina che dopo aver consumato e pagato avevano dichiarato di essere sorpresi dall’esistenza della latteria a cui non avevano mai fatto caso. Elementi che si erano sommati ad altre informazioni di cui i poliziotti erano già in possesso: come il sistema della «riffa», una sorta di lotteria quotidiana o settimanale organizzati da personaggi discutibili a cui i commercianti, ora come allora, sono ancora costretti a piegarsi.
In quel maggio 2015, le indagini della Squadra mobile riuscirono a risalire a le immagini di una telecamera di video sorveglianza di un locale a pochi passi dalla latteria che immortalava uno scooter con due persone a bordo e il volto nascosto da un casco: uno dei due, a un certo punto, si era diretto a piedi verso il caseificio per poi ritornare pochi istanti dopo ed allontanarsi di corsa. Per i poliziotti era esattamente il momento in cui erano stati esplosi quei cinque colpi. La denuncia di Mario generò immediatamente in città una gara di solidarietà: in tanti nelle mattine successive, grazie al passaparola dei social network, si recarono in via Temenide ad acquistare le «mozzarelle antiracket» per testimoniare la propria vicinanza al commerciante coraggioso. Sette anni dopo quei due uomini potrebbero finalmente avere un’identità.