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Gli incompresi compagni di governo

 
Mimmo Mazza

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Mimmo Mazza

Gli incompresi compagni di governo

Il premier dimissionario Mario Draghi e l'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte

Nessuno si chiede cosa ci fa il M5S in un esecutivo che piccona i punti della proposta grillina, rilanciando l’Ilva di Taranto invece di chiuderla come promisero Di Maio e Dibattista

Domenica 17 Luglio 2022, 08:33

12:46

Sui giornali la caccia a Giuseppe Conte dura ormai da giorni, da ben prima che la crisi che non c’è - non essendoci una sfiducia - monopolizzasse talk show e conversari, una caccia nella quale non si lesinano mezzi e parole. Eppure nelle analisi e nei ragionamenti nessuno si chiede cosa ci fa il Movimento 5 Stelle in un Governo che piccona i punti qualificanti della - nel 2018 elettoralmente stravincente - proposta grillina, in un esecutivo che rilancia - almeno a parole - l’Ilva di Taranto invece di chiuderla come promisero Di Maio e Dibattista al rione Tamburi, quello ubicato a ridosso della grande fabbrica; come fanno i ministri pentastellati a condividere il ruolo con gli esponenti di Lega, Pd e Forza Italia, quei partiti che il vaffa grillino avrebbe dovuto spazzare via e non trasformare, come invece è accaduto, in compagni di governo. La stessa cosa vale alle nostre latitudini, come avrà ben compreso il consigliere regionale M5S Cristian Casili commentando con parole amare l’arresto dell’ex assessore regionale Totò Ruggeri, esponente di quei sistema contro il quale Casili e i suoi hanno lottato e preso voti, salvo a urne scrutinate ritrovarseli alleati nel campo largo avanti Letta di Michele Emiliano.

Perché un conto è proporsi agli elettori in coalizione e dunque condividere con gli alleati scelte, candidati e programma, altro è stare al Governo con Matteo Renzi. Ecco, Renzi. Non c’è uomo politico più distante dal Movimento 5 Stelle e se su questo dato oggettivo si conviene, non si può di conseguenza non dare ragione a Conte sulla decisione di farla finita con una alleanza di Governo che di politico non ha mai avuto nulla e che di programmatico, con i siluri al superbonus e al reddito di cittadinanza partiti dal Governo, pure di programmatico ormai non aveva più nulla da dare. Se il Movimento 5 stelle torna alle origini, non è una notizia, si tratta in fondo di un ritorno a quel modo di fare e di essere, premiato dagli elettori. Quale suicidio Conte farebbe abbandonando un Governo che stava riducendo ai minimi storici i grillini? Come poteva Conte reggere oltre l’urto di una scissione, quella di Di Maio, se non ideata, sicuramente agevolata dai (presunti) alleati con base a Palazzo Chigi?

Ogni crisi che si rispetti, perfino quelle che tecnicamente ancora non sono tali vista la larga maggioranza che Draghi ha ancora in Parlamento, ha bisogno di colpevoli e l’avvocato foggiano suo malgrado sembra l’imputato perfetto. Ma non è così: ha perso Palazzo Chigi pur guidando il partito uscito vittorioso dalle elezioni; si è visto sottrarre la metà dei parlamentari; sta assistendo allo smantellamento dei principali provvedimenti adottati dal suo Governo. Che altro doveva e poteva fare se non chiedere a Draghi rispetto?

I colpevoli della attuale situazione sono altri e vanno ricercati principalmente in coloro i quali fanno dell’Italia, e in alcuni casi anche delle nostre Regioni, gli unici posti al mondo nei quali governa anche e soprattutto chi le elezioni le ha perse. Un malcostume tutto nostrano che gonfia le schiere degli astenuti e genera la solita domanda inevasa: perché andare a votare se poi non cambia nulla?

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