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Addio motori diesel e benzina: i timori in Puglia e Basilicata

Addio motori diesel e benzina: i timori in Puglia e Basilicata

 
Marisa Ingrosso

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Marisa Ingrosso

Parte la «carica dei mille» contro il gasolio sporco

L’industria chiede più tempo. Bardi: così si mette a rischio Stellantis Melfi

Venerdì 10 Giugno 2022, 08:00

14:05

Come con i violenti uragani, si può dire che decisione dell’Europarlamento di vietare la vendita di motori diesel e benzina a far data dal 2035, «lampeggiava» da tempo. Infatti, tutta la filiera dell’auto l’ha visto arrivare. Ma ora, ora che la decisione è cosa fatta, i territori più esposti, come quello lucano e pugliese, accusano il colpo: nessuno a queste latitudini si aspettava che, con l’economia ancora convalescente dal Covid e «bombardata» dalle conseguenze della guerra scatenata dalla Russia, l’Ue lasciasse soltanto 13 anni per riconvertire un intero settore. «Il voto del Parlamento europeo - tuona il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi - mette a rischio anche l’impianto Stellantis di Melfi (Potenza), colpirà migliaia di posti di lavoro e costituisce un errore politico e strategico molto grave da parte del Pd, come sottolineato anche da tanti osservatori ed esponenti politici della sinistra stessa. «Chi conosce un minimo il mondo automotive - aggiunge - sa bene che per produrre un motore elettrico serve solo il 25% della forza lavoro rispetto a un motore termico. Leggo sulla stampa nazionale che si parla di 70 mila posti di lavoro in meno solo in Italia. Non voglio nemmeno fare una stima su Melfi. Un vero “bagno di sangue”, per usare le parole del Ministro Cingolani. Noi possiamo inventarci tutte le strategie che vogliamo per salvare l’impianto di Melfi, penso anche all’idrogeno, ma il Governo deve mettere in campo da subito una moratoria e una strategia per favorire una transizione ecologica che non colpisca solo i lavoratori e le fasce più deboli. Giova infatti ricordare che tutto il mondo delle rinnovabili e dell’elettrico, per quanto benvenuto in Basilicata e auspicabile sul lungo termine, non è “labor intensive”, ossia non garantisce gli stessi posti di lavoro dell’industria odierna. Si tratta di un elemento di fatto che va affrontato con concretezza, realismo e non con l’ideologia».

«La sostenibilità ambientale senza sostenibilità economica e sociale è un suicidio», afferma il presidente di Confindustria Bari e BAT e Confindustria Puglia Sergio Fontana - Questa decisione non tiene del dovuto conto le conseguenze economico-sociali di un passaggio così drastico e repentino alla mobilità elettrica e perciò diventa una condanna a morte per gran parte dell’industria automobilistica europea, che colpirà in modo particolare l’Italia e la Germania con conseguenze che già si stanno materializzando nei principali poli automotive come quello di Bari».
«L’industria è favorevole alla mobilità elettrica - aggiunge - ma chiede che la transizione sia gestita con gradualità, con tempi realistici e con specifici aiuti alle imprese che devono riconvertirsi. Per questo occorre che l’Italia intervenga sul Consiglio correggere il tiro evitando di dare un colpo mortale all’industria dell'auto e all’occupazione del nostro Paese».

Per Cesare De Palma, presidente della Sezione Meccanica Confindustria Bari e Bat e presidente del Distretto produttivo della meccanica pugliese, siamo difronte a una decisione di «ecologia talebana». Perché è vero che «la decisione dell’Ue era attesa, ma si sperava in una rivisitazione, anche alla luce della crisi attuale e a quella cui stiamo andando incontro da un punto di vista industriale, a causa della guerra e dal blocco della ripresa post-pandemica. Cioè, così come si pensa di riaccendere le centrali a carbone per far fronte alla crisi energetica, ci si aspettava, si potessero rivedere le decisioni sui motori endotermici, come pure ipotizzato dallo stesso ministro della Transizione, Roberto Cingolani. Il sistema industriale europeo si basa per un 40% sulla produzione di automobili con motore endotermico, in termini di personale impiegato e fatturato. Stravolgere nel giro di 13 anni questo sistema è assolutamente impensabile». «Non si vuole bloccare questa rivoluzione - chiarisce De Palma - ma essa non deve partire dalle automobili, perché rappresentano nel complessivo delle emissioni una percentuale che non arriva nemmeno al 6% del totale delle emissioni inquinanti». Se gli si fa notare che, però, nelle città questa percentuale cambia, l’imprenditore replica spiegando che «non si lenisce il problema delle città impedendo la costruzione di automobili a motore endotermico, ma facendo una politica della mobilità più moderna, educando le persone a un uso più avveduto del mezzo di trasporto», anche perché «non hai l’infrastruttura, non hai colonnine a sufficienza per la ricarica elettrica, non ci sono solo persone che abitano in villa e che la sera possono mettere sotto carica l’auto».

De Palma sa perfettamente che «le grandi multinazionali stanno investendo e facendo ricerca verso le batterie e le nuove frontiere delle energie alternative» ma, rileva, «il problema è il tessuto industriale del settore che può soccombere prima che possa avere capacità e cultura dell’innovazione tali da correggere il proprio indirizzo industriale verso qualcosa di nuovo e che possa permettere di sostenere l’attuale forza lavoro. E, per un cambio di cultura industriale, 13 anni sono pochi. A mio parere, il 50% delle imprese pugliesi avrà difficoltà a riconvertirsi nel breve. Perciò, le piccole aziende vanno accompagnate per portarle verso una riconversione. Anche perché, si tenga conto che il rapporto tra componentistica di un’auto endotetermico/elettrico è 10 a 3, cioè ci sono 3.000 componenti nel primo, ce ne sono 1.200 nel motore elettrico». «Dietro tutto ciò abbiamo delle famiglie - conclude De Palma - Agendo in questo modo le sacrifichiamo dietro la bandiera dell’ecologia talebana».

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