Saltati tutti i livelli di prevenzione, per non parlare dei monitoraggi, i malati oncologici hanno dovuto affrontare un anno terribile: l'epidemia da coronavirus ha ribaltato completamente le priorità sanitarie e di fatto li ha relegati in fondo alla fila. Azzerate le visite di controllo, se non urgentissime, i pazienti con tumore si sono trovati spesso in balia delle onde, per non parlare di quanti comunque seguono cure chemioterapiche. Costretti ad andare su e giù dagli ambulatori, anche se di strutture ospedaliere «no Covid», hanno rischiato e rischiano tutti i giorni di entrare in contatto con portatori di virus.
«Una recente ricerca pubblicata ed effettuata su 350 centri oncologici a livello mondiale ha evidenziato come 88% di queste strutture ha avuto difficoltà a fornire cure adeguate ai propri pazienti nel corso di quest'anno – spiega Attilio Guarini oncoematologo dell'Istituto Tumori Giovanni Paolo II e referente per la Puglia della ConFederazione di oncologi, cardiologi e ematologi italiani (Foce) -. Una percentuale che fa rabbrividire e la dice lunga sulla tenuta della sanità mondiale durante questo 2020 sotto i colpi della pandemia. Abbiamo avuto problemi ad effettuare i monitoraggi per eventualmente riparametrare le cure, per non parlare di tutti i livelli di prevenzione che sono saltati. Il Covid ha modificato completamente l'approccio al malato oncologico».
Quali sono stati i motivi che hanno scatenato questa debacle?
«Preferisco evitare di esprimere giudizi che non sono di mia competenza. Io sono un oncoematologo, parlo di quanto so e per dati di evidenza medica. E i dati sono chiarissimi: l'emergenza sanitaria che stiamo subendo ha annullato i tanti passi avanti fatti in ambito oncologico ed esposto i nostri pazienti. Una condizione che vale per i malati oncologici, per quanti hanno problemi cardiaci o per gli ematologici. Anche per questo due mesi fa è stata data vita a Foce, la Confederazione che riunisce tre associazioni e i clinici che si occupano delle patologie di queste aree della medicina. Perché ci siamo resi conto che in oncologia ed ematologia, o in ambito cardiovascolare, gli effetti della pandemia di Covid stanno vanificando i progressi ottenuti negli ultimi decenni nell’assistenza ai pazienti. E in Italia i malati che rientrano in una di queste tre categorie sono circa 11 milioni, in pratica un italiano su sei».
Pazienti fragili, resi ancora più a rischio da cure che abbattono le loro difese immunitarie, cosa comporta per questi malati doversi confrontare con il Covid?
«Significa un tasso di mortalità quasi doppio rispetto ad un paziente sano. Lo ha dimostrato uno studio nazionale pubblicato su “Lancet oncology” e con dati raccolti in 65 centri italiani e su 536 persone: per un malato ematologico la mortalità per coronavirus è del 36%. Se su una persona sana oscilla tra l'11 e il 14% per un paziente oncologico a seconda della patologia è tra il 22 e il 28%. E i dati esaminati riguardano il periodo del primo lockdown, tra poche settimane si potranno analizzare i numeri della seconda ondata e saranno sicuramente peggiori. L'Italia e il Regno Unito sono le nazioni tra le prime al mondo per mortalità, la Puglia sta risalendo vertiginosamente le classifiche nazionali. La situazione è grave».
Oggi tutti gli occhi sono puntati sul vaccino che dovrebbe sconfiggere il Covid, si parla di una calendarizzazione per poter vaccinare tutti gli italiani, questi pazienti saranno vaccinati con priorità o no? Solo la scorsa settimana il direttore del Centro Nazionale Trapianti ha pubblicato una richiesta ufficiale perché chi è in attesa di trapianto sia inserito in una lista ad accesso prioritario, e i malati oncologici?
«Proprio ieri parlando con amici ho fatto un esempio. Ho detto che se io avessi due dosi di vaccino da poter fare e avessi di fronte mia sorella e due malati di tumore, non avrei dubbi: vaccinerei i due pazienti e farei aspettare mia sorella. Si tratta di una donna sessantenne e leggermente ipertesa, ma che può tranquillamente aspettare».
Quindi significa che i malati oncologici e magari sottoposti a chemioterapie dovrebbero avere la priorità?
«Evidenze mediche dimostrano che i pazienti in chemioterapie sono i più esposti a infezioni. In prima fila sono quanti soffrono per tumori polmonari e oncoematologici. Più resistenti sono i pazienti in remissione, quindi sì, andrebbe fatta una attenta valutazione».
Ma un paziente immunodepresso non corre rischi nel vaccinarsi?
«Molti obiettano che nel campione su cui è stato testato il vaccino non ci sono stati malati oncologici e che di conseguenza non si conoscono gli effetti. Ma il punto è che non si potevano coinvolgere pazienti nella fase di prima ricerca e raccolta dati. Da quella che è la mia esperienza invece dico che i malati oncologici devono essere identificati come pazienti con priorità, come i medici o gli operatori nelle Rsa. Su “Cancer discovery” è stata da poco pubblicata una ricerca che in base ai dati stila una sorta di indice di priorità e conclude come sia indispensabile un accesso precoce al vaccino proprio per questi pazienti ad alto rischio di contagio».