BARI - Sono i dati di un report della Cgil a fotografare la situazione dell’occupazione pugliese al tramonto (si auspica) dell’emergenza Coronavirus. Numeri imponenti che forniscono la cifra delle difficoltà che attraversano l’intera regione, dalla Daunia al Salento.
Il dato di base, da cui l’intera analisi origina, è quello del tasso di occupazione, fermo al 46,8% con una forbice enorme tra uomini e donne: 60,7 nel primo caso, 33,2 nel secondo. Il «gender gap» pugliese pesa infatti anche nella classifica nazionale elaborata su base provinciale. In particolare, in questo triste elenco, Taranto ha il primo posto nel Belpaese, mentre la Bat si attesta al sesto e Foggia al nono. Tre province, dunque, si piazzano nella prima decade. Forbice meno pronunciata, invece, per quanto concerne il tasso di disoccupazione: su una media del 14,3%, gli uomini si attestano al 12,5 e le donne al 17,4. Quanto ai giovani (15-24 anni) è Lecce la prima in Puglia con un tasso del 49,1%. Bari le sta incollata al 48,7%. Chiude il cerchio il numero degli inattivi: quasi due milioni di persone non studiano e non cercano lavoro.
Gli effetti della crisi Covid si percepiscono pienamente attraverso la lettura degli ammortizzatori sociali: sono ad esempio 330mila le domande accolte per l’indennità dei 600 euro mentre le richieste pervenute di cassa integrazione (per le imprese) sono 64mila, con un totale di pagamenti disposti che balza a 242mila unità.
A questo poi si incrociano i dati di carattere generale sulla tenuta del sistema. Un sistema che paga una serie di dazi come la scarsa digitalizzazione: è l’Istat questa volta a rivelare che il 43% delle famiglie pugliesi non possiede né un personal computer né un tablet (terza regione in Italia) e al Sud, più in generale, il 40% dei ragazzi tra i 14 e i 17 anni ha poche o nessuna competenza digitale. Un dato drammatico se pensiamo che il trimestre pandemico ha autorizzato la maggior parte delle attività di studio e relazionali proprio attraverso i mezzi digitali. Se questi sono elementi di contesto a pesare come un macigno è poi il rischio fallimento di moltissime imprese: secondo Confcommercio il 30% nel settore commerciale. Per Unioncamere rischiamo di ritrovarci, a fine 2021, con 20mila imprese e 69mila posti di lavoro in meno con una relativa perdita di fatturato che oscilla, per il 2020, tra il 7 e il 16% del Pil, e tra i 6 e i 13 miliardi di euro fino al 2021. La debolezza del manifatturiero e l’ampio numero degli irregolari nel settore agricolo e in quello del lavoro domestico, dipingono un quadro in cui molto dovrà essere disposto per scongiurare effetti profondamente negativi.
Il sindacato, da parte sua, dopo aver seguito i lavoratori attraverso i supporti digitali, riapre i battenti anche fisicamente con l’operazione «di persona»: «Riapriamo le nostre sedi - comunicano dalla Cgil - in assoluta sicurezza e nel pieno rispetto delle misure anti contagio».