BARI - «Prima i disabili più gravi. Così dice la Regione. Ma sono passate due settimane e mio figlio è ancora a casa». Maria, il nome di fantasia, è una di quelle mamme infaticabili che, da 14 anni, si prende cura di suo figlio, gravemente autistico.
Nei due mesi di quarantena, mamma e figlio sono rimasti a casa, perché il centro diurno socio-educativo e riabilitativo che suo figlio frequentava è rimasto chiuso, in base alle disposizioni governative per ridurre il contagio. Con l’inizio della cosiddetta Fase 2, i centri sono stati riaperti, con mille e una prescrizioni e con ingressi contingentati. In base alle disposizioni del dipartimento della salute della regione Puglia, avrebbero dovuto avere priorità i disabili più fragili, «dal punto di vista della rete familiare e sociale o a rischio di perdita delle abilità acquisite» ma, per uno atroce scherzo del destino sono proprio questi ultimi a non poter frequentare ancora i centri.
«È necessario che indossino costantemente la mascherina e che non sbavino, perché la bava può essere veicolo di contagio», spiega a riguardo Maria, «il che significa che mio figlio, e tanti altri ragazzi con autismo, sono ancora a casa e non sappiamo quanto e come potranno tornare a frequentare il centro. Praticamente stanno facendo una selezione fra disabili e disabili». Di qui la disperazione di Maria e di tante mamme che vivono la sua stessa quotidianità. «Mio figlio non è autonomo in nulla, non parla, porta il pannetto ed è soggetto a crisi gravi di autolesionismo e a scoppi di violenza. Con la pandemia, siamo stati costretti a stare a casa e mio figlio è regredito in tutto e per tutto, come se fosse tornato piccolissimo. Non frequentare più il centro è stato difficilissimo per noi, perché mio figlio, come tutti i ragazzi con autismo, è molto abitudinario. Ma dovevamo stare a casa, così ci ha imposto il governo, così era giusto e sicuro per tutti, anche per noi. Adesso, però, che i centri sono stati riaperti, perché non dare priorità a chi ha più bisogno?».
L’attività del centro, spiega Maria, «è l’unica cura per mio figlio che ha bisogno di stare con le persone giuste, professionali, che si occupano di lui e gli fanno fare le giuste attività. Altre soluzioni, per lui, non ce ne sono». Non che Maria non le abbia provate: «Ho chiesto alla Asl di poter avere l’aiuto di un educatore a casa ma mi è stato risposto che, siccome mio figlio è già iscritto al centro riabilitativo, non ha diritto a questo genere di assistenza. Abbiamo provato a fare le videochiamate con gli operatori del centro ma è stato peggio: vedendo a distanza i suoi operatori, mio figlio si arrabbiava perché, evidentemente, non capiva il motivo per il quale non poteva averli vicino. Adesso la Regione ha fatto sapere che possiamo richiedere un contributo di 800 euro. Ma cosa ce ne facciamo dei soldi? A noi serve un aiuto concreto».
Così, senza aiuto, sono passati due mesi. «Durante la pandemia, mi sono fatta fare un certificato per poter andare al mare quando mio figlio aveva le crisi. Stare sulla spiaggia è l’unico modo per calmarlo e per stare tranquilli un paio d’ore». Per il resto, «sono stata 24 ore al giorno con lui, senza dormire, anche la notte, cercando di occuparmi di mio marito e dell’altro mio figlio, anche loro persone fragili e bisognose di attenzione». In questi giorni così difficili, Maria non è stata sola. «Ogni giorni ero in contatto con altre mamme che stanno vivendo la stessa situazione: ragazzi che si feriscono, che tentano di scappare, che distruggono mobili, che aggrediscono i genitori. Quando i ragazzi frequentano il centro, invece, tornano a casa più tranquilli e nelle ore in cui i ragazzi non ci sono noi mamme possiamo ricaricarci e prepararci poi ad affrontare il resto della giornata».
E adesso? «Ci hanno detto che il centro dovrà rispettare una riapertura graduale, alcuni ragazzi potranno andare solo mattina o solo il pomeriggio, o solo alcuni giorni a settimana, sempre con la mascherina. Ma per mio figlio, e per tanti ragazzi come lui, non si sa quando e come poter ritornare a frequentarlo. Eppure si tratta di una struttura molto grande, con grandi spazi all’aperto. È chiaro che per noi mamme la sicurezza dei nostri figli è importante ma se continuiamo così saremo noi mamme ad ammalarci. E allora, davvero, sarà la fine».