Il governo giallorosso stoppa le trivelle. Il Conte bis nasce con un approccio fondamentalista alla questione petrolio: «Siamo determinati a introdurre una normativa – dice il premier – che non consenta più il rilascio di nuove concessioni di trivellazione per l'estrazione di idrocarburi». Un blocco per legge, dunque, che Conte auspica possa essere introdotto anche nella Costituzione: «Chi verrà dopo di noi, se mai vorrà assumersi l'irresponsabilità di far tornare il Paese indietro, dovrà farlo modificando questa norma di legge».
Posizione che se da un lato raccoglie la soddisfazione di ambientalisti e di quanti ritengono urgente avviare il processo di transizione energetica, dall'altro rischia di determinare contraccolpi sul fronte occupazionale (a rischio sarebbero circa 15mila posti di lavoro) e giudiziario, con l'apertura di contenziosi miliardari da parte delle compagnie petrolifere. La conseguenza potrebbe essere anche il trasferimento di molte aziende in Paesi che offrono favorevoli condizioni di lavoro, portando lì l'eccellenza tecnologica «made in Italy» insieme ai relativi benefici economico-fiscali.
In questo scenario s'inserisce il tema dei giacimenti interterritoriali (si chiamano, in gergo tecnico, unitizzati) cioè a cavallo tra due Stati. In presenza di approcci diversi alle trivellazioni da parte dei rispettivi Governi, la situazione si complica: è il caso delle acque a sud-est di Santa Maria di Leuca (Lecce) dove c'è un immenso giacimento denominato «Fortuna Prospect». Il raggio d'azione di questo sito coinvolge la costa italiana e quella greca: mentre nel nostro Paese l'attività di ricerca è paralizzata, il Governo di Atene ha autorizzato un pozzo esplorativo in un'area divisa tra Total al 50 per cento, Edison al 25 ed Hellenic al 25. Al termine di questa prima fase esplorativa – e qui viene la beffa – la Grecia potrà succhiare gas anche dal versante italiano. Saremmo come il fumatore passivo, deciso a bandire le sigarette per tutelare la propria salute, ma costretto a respirare il fumo di chi ci sta di fianco.
L'Italia, insomma, potrebbe vedersi sfilare dalle mani un tesoro energetico di inestimabile valore. Il «Fortuna Prospect», infatti, ha la stessa natura geologica di riserve trovate al largo di Israele, Cipro ed Egitto dove il giacimento di «Zhor», in particolare, ha almeno 850 trilioni di metri cubi di gas, capaci di garantire l'autosufficienza a tutto il Nord Africa. Le dimensioni di «Fortuna Prospect», per intenderci, potrebbero risultare più grandi di «Zohr» e il gas in esso contenuto, a quel punto, avrebbe un peso specifico determinante per la bilancia energetica nazionale. Greca o italiana che sia.
Roma e Atene parlano lingue diverse sul fronte petrolifero, ma tra il nostro Paese e la Croazia c'è piena convergenza operativa per un altro giacimento unitizzato. Si chiama «Annamaria» e si trova nell'offshore del mare Adriatico settentrionale. È stato scoperto nel 1979 in acque territoriali italiane con una continuità della struttura anche sul versante croato. Nel 2006 le compagnie petrolifere interessate, Eni e Ina, hanno firmato un accordo per lo sviluppo integrato delle operazioni sul giacimento, successivamente approvato dai rispettivi Stati, che ha sancito le quote di distribuzione della produzione delle due piattaforme. Estrazioni condivise e «misurate» in base a un'intesa. Ciò che a Santa Maria di Leuca, al momento, non è possibile. In Grecia i media raccontano di un tifo generalizzato per l'ambientalismo italiano anti-trivelle, ma, di fatto, si va nella direzione opposta. Mancata coerenza che sa di opportunismo economico.