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Foggia, nel 2020 rivolta e fuga dal carcere: parlano i poliziotti penitenziari

 
Redazione Foggia

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Foggia, nel 2020 rivolta e fuga dal carcere: parlano i poliziotti penitenziari

Doveva essere una protesta pacifica, come in altre carceri del Paese, contro le misure antiCovid varate dal Governo; si trasformò in una rivolta e nella più clamorosa fuga di massa da un penitenziario del Paese

Mercoledì 18 Settembre 2024, 10:15

FOGGIA - La mattina del 9 marzo 2020 era in servizio al complesso detto “vecchio giudiziario” davanti alle celle, quando alle 9.30 fu aggredito e minacciato da una decina di detenuti che arrivarono dalla zona passeggio e diedero il via alla rivolta; prima cercarono di sfilargli le chiavi, poi lo costrinsero ad aprire la sezione e far uscire dalle celle gli altri reclusi che si riversarono nei cortili del carcere. Dopo la pausa estiva, è ripreso con la testimonianza di un altro poliziotto penitenziario il processo davanti alla sezione collegiale del Tribunale di Foggia. In attesa di giudizio ben 55 ex carcerati accusati tutti di devastazione e saccheggio, reato che prevede pene sino a 15 anni per la sommossa nella casa circondariale di Foggia che coinvolse oltre 500 dei 570 detenuti rinchiusi quel giorno; e fu contrassegnata dall’evasione in massa di 72 uomini che sfondarono i cancelli e si dileguarono filmati dalle telecamere di sorveglianza: tutti catturati e/o costituiti poi nell’arco di 4 mesi, seguirono condanne per evasione.

I numeri e le accuse contestate dalla Procura danno l’idea dell’inferno in terra vissuto il 9 marzo di 4 anni fa. Doveva essere una protesta pacifica, come in altre carceri del Paese, contro le misure antiCovid varate dal Governo; si trasformò in una rivolta e nella più clamorosa fuga di massa da un penitenziario del Paese. Il carcere per alcune ore rimase in mano a centinaia di uomini e qualche donna: molti salirono sui tetti inneggiando a “indulto e amnistia”; altri avvertirono poliziotti e chi cercava di riportare la calma: “qua comandiamo noi”. Uffici devastati, mobilia e materassi incendiati, agenti aggrediti, uno rinchiuso in un gabbiotto, sfondamento dei cancelli, ultimo quello che diede la libertà anche a persone accusate di omicidio, mafia, rapina, armi e via dicendo; in un’interrogazione parlamentare i danni vennero stimati in oltre 600mila euro. E ci fu chi approfittò della baraonda per fare sesso con alcune detenute fatte uscire dalla sezione femminile.

Nella tarda mattinata del 9 marzo i rivoltosi rientrarono nelle celle, ma per 3 giorni ne mantennero il controllo. Lo Stato si “riappropriò” della casa circondariale all’alba del 12 marzo quando 250 agenti di custodia del gruppo speciale Gom, con caschi, manganelli e scudi entrarono nelle sezioni, prelevarono 107 presunti rivoltosi, li caricarono su una decina di cellulari e li trasferirono in altre strutture. Tutto ciò mentre all’esterno 150 tra carabinieri, finanzieri e poliziotti bloccavano l’accesso alla zona delle Casermette. Dopo un anno di indagini e sulla scorta di relazioni della polizia penitenziaria e dei video furono identificati solo 82 degli oltre 500 rivoltosi. Il pm ne chiese il rinvio a giudizio; il processo a 81 imputati (uno morì suicida in carcere prima dell’udienza preliminare) al termine dell’udienza preliminare si è diviso in varie tranche: 18 condannati dal gup in primo grado a 91 anni complessivi, avendo optato per il rito abbreviato; 1 assoluzione; stralcio di 7 posizioni; rinvio a giudizio e processo in corso da marzo 2023 per 55 tra uomini e donne; 43 gli arresti eseguiti tra marzo e luglio 2023 a processo già in corso. Le udienze vivono essenzialmente dei racconti degli agenti di custodia (45) che in netta inferiorità numerica rispetto alla massa di rivoltosi, cercarono di arginare la protesta, ma dovettero soccombere; ci fu chi riuscì a mettere in sicurezza le armi in dotazione e evitare che finissero in mano ai reclusi; chi evitò che alcuni rivoltosi potessero prendersela anche con la direttrice dell’istituto.

Per gli ispettori del ministero di Giustizia che ad agosto 2022 depositarono la relazione al Dap su quanto successo a Foggia, “la gestione delle fasi successive all’inizio della rivolta e all’evasione, ha evidenziato una situazione di grande confusione; di assenza di punti di riferimento con i detenuti che fecero quanto voluto. La gestione della rivolta fu caratterizzata da aspetti di evidente criticità; il personale è apparso del tutto impreparato a intervenire nel momento in cui i detenuti provenienti dai due plessi dell’istituto si unirono convergendo verso le uscite di portineria e carraia. Per fronteggiare la situazione sarebbe stato necessario interdire immediatamente l’accesso del block-house: questa omissione rese poi possibile con estrema facilità l’evasione di 72 detenuti”. Si torna in aula a dicembre per l’interrogatorio di altri 4 testi d’accusa; nel 2025 si dovrebbe arrivare alla sentenza di primo grado.

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