BARI - La tutela del benefico «Carciofo di Lucera» ha visto raggiungere un nuovo risultato inerente la ricerca nel progetto BiodiverSO dell'Università e del Cnr di Bari, attraverso il riconoscimento della rivista Horticulturae che ha pubblicato i risultati di questo lavoro. Sull'antica risorsa genetica a rischio di estinzione, frutto della terra di Capitanata, gli studiosi hanno sviluppato queste attività: storia, recupero, conservazione ex situ, caratterizzazione, risanamento fitosanitario e registrazione, banche dati, redazione di schede descrittive, conservazione in situ.
Il lavoro di ricerca ha prodotto il recupero di tre popolazioni di «Carciofo di Lucera» coltivate da pochi contadini, ubicate nell'agro lucerino. Lo studio evidenzia «i capolini principali» che hanno forma ovoidale, «con apice piano e brattee esterne violette con sfumature verdi e una spina appena accennata». Durante il recupero della risorsa dal campo, sono state raccolte diverse informazioni che hanno permesso di retrodatare la coltivazione del carciofo in Puglia di circa 200 anni. Finora si è sempre ritenuto che la coltivazione del carciofo si sia diffusa dall’Italia Meridionale verso quella Settentrionale. «Le fonti storiche - evidenzia la ricerca - attribuiscono agli spagnoli, i quali verso la seconda metà del Quattrocento controllavano Napoli e la Sicilia, l’introduzione di questa specie. In questa pubblicazione viene formulata un’ipotesi diversa: non gli Spagnoli, ma i Saraceni sarebbero stati gli artefici di tale introduzione. La presenza del carciofo a Lucera fin dall'antichità, infatti, è confermata anche nelle opere architettoniche, come si evince dal bassorilievo posto sull'architrave della residenza nobiliare denominata «Palazzo Lombardi» (XVIII sec.), «che potrebbe derivare dal riuso di materiali architettonici provenienti dalla fortezza svevo-angioina del XIII secolo situata a Lucera» evidenzia lo studio universitario.
La ricerca evidenzia che «oggi il “Carciofo di Lucera” viene coltivato in orti di ridotte dimensioni da pochissimi agricoltori anziani o pensionati e, forse per questo motivo, le pratiche agronomiche sono spesso manuali con modesti input e macchine operatici. Sulla base di queste risultanze, sarà fondamentale il ruolo degli enti locali per conservare questa risorsa vegetale e, perché no, per renderla protagonista di un itinerario di agrobiodiversità e di promozione culturale nella città di Lucera».