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Redazione online
30 Novembre 2020
FOGGIA - La condanna all’ergastolo è stata chiesta dal pubblico ministero della Dda di Bari Luciana Silvestri nel processo a carico di Giovanni Caterino, 40 anni, unico imputato della strage di mafia di San Marco in Lamis, quella in cui vennero uccisi il 9 agosto 2017 il boss di Manfredonia Mario Luciano Romito, il cognato Matteo de Palma e i fratelli Aurelio e Luigi Luciani uccisi perché testimoni involontari dell’agguato.
Caterino è ritenuto il basista del commando armato ovvero, colui che ha pedinato sia nei giorni precedenti sia nel giorno dell’agguato Mario Luciano Romito, 52 anni, esponete di spicco dell’omonima famiglia scarcerato sei giorni prima della sua uccisione e ritenuto il reale obiettivo dei killer.
IL COMMENTO DELLA VEDOVA - «Mi aspettavo la richiesta di ergastolo, ed oggi devo anche evidenziare che aver ascoltato il pm che ha ripercorso tutto quello che tendenzialmente è successo il 9 agosto 2017, mi ha convinta ancor di più che quell'uomo che oggi è imputato, il presunto basista, era lì presente».
Lo ha detto Arcangela Petrucci, vedova di Luigi Luciani, l’agricoltore assassinato insieme al fratello Aurelio il 9 agosto 2017 nella strage di San Marco in Lamis perché involontario testimone di un agguato mafioso, commentando la richiesta di condanna del pm nei confronti di Giovanni Caterino, presunto basista del commando che agì.
«Ho chiesto di poter vedere questa persona, il presunto basista - ha aggiunto - di guardarlo in faccia, negli occhi e raccontargli semplicemente chi era mio marito, come vivevamo prima della tragedia; di parlargli di mio figlio. Probabilmente mi avrebbe fatto una risata in faccia. Gli avrei parlato di gente onesta».
«PROCESSO INDIZIARIO» - «Questo è un processo indiziario, cioè non c'è una prova rappresentativa diretta come l’arma del delitto, la pistola fumante. In questo processo si parla di spunti investigativi, da qui se io non traggo la prova, la prova stessa resta uno spunto. Pur di trovare un soggetto autore di questo fatto che ha molto scosso l’opinione pubblica, sono partiti da spunti investigativi, che significa che io sospetto che lui sia il colpevole però poi non lo dimostro». Lo ha sostenuto il professor Pietro Nocita, legale difensore di Giovanni Caterino, l’unico imputato per la strage di mafia di San Marco in Lamis, del 9 agosto 2017. Caterino, per il quale oggi è stato chiesto l’ergastolo, è accusato di essere il basista del commando armato che agì.
«Il giorno della strage - precisa il legale - non è dimostrato che l’imputato fosse nella macchina che seguiva il boss Mario Luciano Romito, perché non vi è nessuna prova della sua presenza». Il legale ha citato «una telefonata che è venuta fuori nel dibattimento, che dimostra che lui si trovasse al momento del delitto in un posto lontanissimo dal luogo dell’agguato. È una telefonata attiva che lui ha fatto e si trovava come cella a Manfredonia. Abbiamo accertato, attraverso l'analisi dei tabulati, che c'è stata questa telefonata proprio nell’ora del delitto».
Secondo Nocita, inoltre, il «movente è ipotizzato ma non dimostrato. Lui è stato ritenuto appartenente ad una organizzazione criminale e quindi anche sul movente stiamo parlando di una persona incensurata e quindi non indagata per reato associativo».
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