Sabato 06 Settembre 2025 | 12:26

Quell’insofferenza umana verso i migranti e il loro diritto a vivere

 
Gino Dato

Reporter:

Gino Dato

barcone migranti

Specie quando, per seguire la tensione civile di Sergio Mattarella, intorno a noi ci accorgiamo che un bisogno fondamentale, seppur doloroso, quello di migrare, viene calpestato

Venerdì 10 Marzo 2023, 14:04

Certi giorni ci avviluppa il pensiero di un diritto a vivere. Specie quando, per seguire la tensione civile di Sergio Mattarella, intorno a noi ci accorgiamo che un bisogno fondamentale, seppur doloroso, quello di migrare, viene calpestato. Non solo dalla mala sorte ma dagli altri uomini, insofferenti e pronti a scrollarsi le disgrazie e la sfortuna del loro prossimo. Proprio riflettendo sul capovolgimento concettuale imbracciato dal presidente, della migrazione da necessità a diritto, dobbiamo riscoprire nel semplice movimento uno dei fondamenti delle libertà. Allo stesso tempo, uno status di cui l’incertezza dell’età contemporanea attenta a privarci.

Pensate. Possiamo viaggiare, spostarci, godere del movimento, fisico e spirituale, segno peculiare di un privilegio che ci percorre. Possiamo li-be-ra-men-te visitare un luogo, lasciare, anche se per poche ore, la nostra occupazione, la residenza e le abitudini per approdare ad altre, nuove, arricchenti. Che ne è oggi di questo ambito diritto? Quali sono i pericoli che ne riducono lo spazio e le certezze? Nei paesi più evoluti come in quelli emergenti? Per i cittadini del mondo – ci accorgiamo – non c’è solo il movimento, più insignificante, dettato dal piacere, ma quello forzoso, motivato da migrazioni, carestie, guerre, indotto dal bisogno insopprimibile di una crescita, di un riscatto, di un arricchimento di culture e civiltà, di una sfida alla sorte.

Non tutti possono quindi declinare in senso positivo l’istinto a muoversi. La modalità, «coatta» e non naturale, di operare il movimento, lo «stato di necessità», spinge invece e obbliga allo spostamento per forze maggiori, la fuga, l’emigrazione, l’esilio, la diaspora.

Alla base del movimento la spinta principale è quella propria di un popolo che contempla, tra i suoi diritti, lo spaziare e conoscere, l’ambire il benessere e la pace, l’indugiare anche nel riposo e nel relax, nel divertimento, in tutto ciò che può discendere anche dalla semplice passeggiata, da escursioni e gite, visite a monumenti e a musei o mostre. E quando prevale la ragione dello stare, entrano in gioco impedimenti per motivi economici o familiari. In ogni caso, appunto, la propensione ad andare o a fermarsi è determinata da una condizione di benessere psico e fisico.

Ma l’altra faccia della medaglia qual è? Il movimento forzoso, violento, la necessità di lasciare un luogo, una casa, una famiglia, tutto quello che hai costruito, per salvare la pelle, perché qualcuno, mentre stai semplicemente vivendo, facendo la spesa in un supermercato, intrattenendo i bambini su una giostra, o mentre stai lavorando, ha deciso di bombardare la tua terra, di freddarti con un colpo nella nuca, alle spalle, farti saltare su una mina o farti piovere la morte sulla testa.

Come sono diversi questi due movimenti, il primo per piacere, il secondo per «passione» o «sofferenza». Possiamo percepirla questa divaricazione, solo intuirla mentre mettiamo un passo dopo l’altro e ci guardiamo intorno.

L’ Europa e il mondo bruciano, e le fiamme lambiscono tutti noi. Milioni di persone sono in fuga da paesi di carestia e conflitti, da città minacciate dalla guerra. Scappano per sfuggire ai combattimenti, per non essere sepolti vivi o ridotti in schiavitù.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)