Festeggia Gaza, festeggia Tel Aviv, festeggia il mondo, non solo i palestinesi e gli israeliani. «L’accordo offre un barlume di sollievo. Quel barlume deve diventare l’alba della pace, l’inizio della fine di questa guerra devastante», auspica il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, interpretando un comune sentire dei popoli e delle diplomazie.
Non mancano però i pericoli. È necessario che quella tra Israele e Hamas non rappresenti una fragile tregua di una guerra infinita ma una pace duratura. Troppo profonde le distruzioni: più di 60 mila le vittime civili palestinesi, di cui 18 mila bambini, 1800 le vittime israeliane, quasi 1,9 milioni di sfollati dei 2,4 milioni di abitanti di Gaza, più dell’80 per cento degli edifici rasi al suolo.
Ma meno visibile è quella devastazione più profonda che raggiunge le fondamenta e tocca le radici dell’animo umano, sradica la collettività e soprattutto sconvolge gli equilibri fisici e psichici di milioni di individui.
Non c’è, infatti, tra i sopravvissuti chi, nel bilancio di questo conflitto, non abbia pagato un prezzo altissimo: la perdita di un parente o conoscente più o meno vicino, la decimazione della famiglia, o che non abbia assistito a qualche tragico evento. Media e social, nella cruda informazione in tempo reale, hanno condiviso lo spirito del conflitto e fatto sì che le immagini e i danni dell’atroce conflitto appartengano a tutti.
A festeggiare è perciò una società scossa e umiliata, mutilata, «mortifera», e ciò che della stessa rimane. La pace conquistata è assai fragile, aggrappata alla forza di sopravvivenza ma soprattutto a un futuro che è più possibile che probabile e a quelli che appaiono i due pilastri delle società libere: il ricordo e la memoria.
In questi anni abbiamo capito che non c'è futuro per le società che non sappiano serbare il ricordo e la memoria, l’uno inteso come esercizio critico di una umanità che pensa, l'altra come giacimento di emozioni e sentimenti condivisi.
Troppe le vittime e il sangue versato dai palestinesi e dagli israeliani. Ai superstiti rimane il compito di elaborare il lutto e la perdita di figli fratelli padri che non tornano, di madri che non allattano, di giovani che hanno perso la bussola di un sorriso. Se scrutiamo in profondità troppo scura è l'ombra che cala e che avvolge il tutto. E troppo forte è la tentazione di costruirsi un futuro in cui c'è spazio solo per l’orchestrazione di odio e vendette e la catalogazione di nemici.
Solo il ricorso allora ai congegni della memoria e del ricordo consente di tenere viva una società, rendere fertile la terra desertificata degli individui e li proietta in un futuro che non è inerzia ma ricerca delle ragioni dell’altro e condivisione della condizione umana. Memoria e ricordo ci tuteleranno anche da un’altra tentazione, la più deleteria: ordire nuovi sogni di espansione o di follia.