Lunedì 06 Ottobre 2025 | 15:25

Ora difendiamo la dignità da chi vuole calpestare la protesta della «Flotilla»

 
Carmen Lasorella

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Carmen Lasorella

Sbagliato il «no» al Colle: troppa irresponsabilità a bordo della «Flotilla»

Il piano di pace del presidente Trump, per quanto generico sui tempi e nelle garanzie, è l’unica possibilità concreta di porre fine alla mattanza in corso a Gaza da settecentoventisette giorni

Lunedì 06 Ottobre 2025, 13:00

Si tratta e si muore. Come ha sintetizzato l’ottimo titolo di domenica del quotidiano Avvenire, questa è la situazione attuale nello scenario mediorientale. Il piano di pace del presidente Trump, per quanto generico sui tempi e nelle garanzie, è l’unica possibilità concreta di porre fine alla mattanza in corso a Gaza da settecentoventisette giorni, dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 - dunque deve poter andare avanti - nel vuoto però di giustizia, mentre troppi innocenti continuano a morire.

È un conto approssimativo che si misura quotidianamente in decine di vittime, che si aggiungono alle centinaia di migliaia di morti e feriti dall’inizio della guerra, con l’obiettivo esplicitato dai ministri fondamentalisti di Tel Aviv (Smotric e Ben-Gvir in testa) dell’occupazione di Gaza, della Cisgiordania e della pulizia etnica ai danni del popolo palestinese, perseguito dal governo Netanyahu nel suo insieme.

Con l’appoggio dell’amministrazione Trump, la propaganda ovvero narrazioni costruite allo scopo hanno cementato l’indifferenza all’illegalità della reazione posta in essere da Israele, nell’impunità delle conseguenze.

Il rilascio dei poveri ostaggi israeliani, rapiti da Hamas il 7 ottobre, costretti ad una prigionia atroce e dei prigionieri palestinesi nelle orrende carceri israeliane, è quel presupposto umanitario, che di per sé ne giustificherebbe l’attuazione. Ma già sei mesi fa, non era in corso una tregua, concordata in tre fasi, che prevedeva la riapertura dei corridoi umanitari e degli aiuti per la popolazione gazawi? il progressivo rilascio degli ostaggi e l’altrettanto progressivo ritiro delle truppe israeliane da Gaza? fermando anche l’occupazione dei coloni in Cisgiordania? Quella tregua, considerata fragile, fu interrotta unilateralmente dal governo israeliano, che moltiplicò la violenza dell’aggressione, dopo la ripresa degli attacchi portati dagli Houthi yemeniti, cui seguirono i bombardamenti sulla Siria dell’aviazione di Tel Aviv, le azioni di terra dell’IDF in Libano (anche contro il contingente delle Nazioni Unite, L’Unifil, di cui fanno parte i soldati italiani) fino al bombardamento delle aviazioni israeliane e americane dei siti nucleari Iran. Operazioni dunque ad ampio raggio contro la galassia sciita, i cosiddetti proxies di Hamas, prossimi più o meno per territorio anche ad Israele.

E nel settembre scorso non era stato proprio Trump a porre il veto sulla bozza di risoluzione delle Nazioni Unite per un cessate un fuoco immediato, bozza condivisa invece da gran parte della comunità internazionale? È possibile che quanto non sia avvenuto sei mesi fa, come qualche settimana fa, sia fattibile oggi. Il presidente americano se ne ascrive il merito. Il suo potere glielo permette. Per quanto tempo e come, si vedrà, benché il futuro di un popolo non si può basare sulla sua esclusione. L’eternità, di cui si vanta Trump, non appartiene alle vicende umane. D’altra parte, troppe cose sono cambiate. Volendo usare le parole esplicite del cancelliere tedesco Merz: «il lavoro sporco per l’Occidente» è stato fatto. La distruzione di Gaza è pressoché totale; i palestinesi, decimati di giorno in giorno, anche dalla fame e dalla mancanza di qualsiasi assistenza, sono oramai ammassati come bestie in un serraglio, nelle tende di fortuna lungo l’ultimo pezzo di mare della Striscia a ridosso del confine con l’Egitto; la reazione sciita è silente, mentre quella sunnita espressa dalle monarchie del Golfo si è fatta pressante, mossa dagli interessi.

Potrebbe essere finito il business della guerra per lasciare posto a quello della ricostruzione, i cui piani sono già pronti nei rendering, spregiudicatamente anticipati tanto dagli americani quanto dagli israeliani sui Social, così come l’organizzazione per realizzarli, in rapido allestimento. Probabilmente, anche i vari Smotric e Ben-Gvir se ne faranno una ragione, nonostante l’incognita delle elezioni, insite nella ripresa della normalità, che forse potrebbe restituire democrazia all’indebolita società israeliana. Peraltro, non affatto ultimo, proprio a sostegno dei valori della democrazia, nello scenario va sottolineato il ruolo giocato dalla protesta espressa dalla società civile. L’inerzia e le complicità dei governi occidentali sono state annichilite dagli straordinari equipaggi di mare e di terra, che coraggiosamente hanno sfidato il potere.

La Global Sumud Flottilla si è meritata il rispetto dei cittadini europei - soprattutto degli italiani - che hanno dato corpo e anima alla protesta in tutto il paese contro le atrocità commesse. Rispetto che è mancato da parte della Presidenza del Consiglio. Un bagno di energia che restituisce fiducia, soprattutto a coloro che vi hanno partecipato per tornare a credere in sé stessi e nel peso significativo dell’individualità se finalizzato alla coesione sociale, soprattutto in Italia, un Paese spesso fragile, eppure speciale per la sua natura straordinaria, che puntualmente emerge in ogni emergenza, mentre dovrebbe essere alimentata ogni giorno e rigenerata. Di sicuro, non tra gli obiettivi di chi governa, ma che piacerebbe fosse nelle strategie delle opposizioni. Anche contro i partecipanti alla Flottilla, cittadini di oltre quaranta nazionalità, bollati come terroristi dal governo israeliano, il comportamento di chi li ha illegalmente arrestati è stato ancora una volta inaccettabile. Protervo.
E protervo è il silenzio che perdura, nel vuoto di risposte delle istituzioni. Di vantaggi, peraltro, non se ne vedono. Il conto per l’Italia sale. Rimaniamo prigionieri delle tecnologie israeliane e delle umoralità di Trump. L’ultima a proposito della pasta, il prodotto per eccellenza italiano. Si annunciano dazi del 107 per cento, a beneficio delle aziende americane, che possono ignorare brevetti e qualità del prodotto. A cominciare dagli spaghetti per arrivare ai fusilli. Tocca allora fare una riflessione profonda e tirare un fiato. Capitalizziamo i vantaggi della dignità.

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